Aggressività e violenza di gruppo
L’aggressività è una delle pulsioni più antiche e comuni a tutte le specie.
Freud individuava due pulsioni alla base di tutte le dinamiche fondamentali per lo sviluppo psicosessuale dell’individuo: la Libido, ossia l’energia psichica "positiva e buona", in quanto indirizzata verso scopi culturalmente e moralmente accettabili, e la Destrudo, energia "cattiva", poiché incanalata verso obiettivi meno accettati e condivisi.
L’Aggressività rappresenta il momento concettuale e motivazionale di un comportamento aggressivo, il pensiero-desiderio, lo stimolo che provoca condotte tese verso finalità a volte violente.
Uso consapevolmente la locuzione a volte, poiché nella nostra mente tutto può avere uno sbocco positivo o negativo, indipendentemente dalla sua natura intrinseca. Dipende dai meccanismi di difesa dell’Io, poi, dalle convenzioni sociali e culturali e dal sentimento etico la direzione comportamentale delle nostre pulsioni. Così, attraverso la sublimazione, per esempio, istinti inconsci a carattere aggressivo possono venire a volte incanalati verso obiettivi "utili", condivisi, accettati ed apprezzati (la dedizione altruistica, la filantropia, alcuni slanci eroici…). Similmente, il "troppo amore" può essere imprevedibile razionalmente e distruggere od arrecare conseguenze "involontarie" ma pur sempre, talora, dannose.
Osservando l’evoluzione filogenetica, sappiamo bene che l’originario senso dell’aggressività era connotato come istinto fondamentale per la sopravvivenza, non solo dell’individuo, ma anche della specie. Con il maturare di quest’ultima, l’aggressività si è anch’essa evoluta e da esclusiva istanza volta al soddisfacimento di funzioni esistenziali differenti, come quella sessuale, alimentare, di difesa del territorio o dai predatori, si è sempre più rimodellata ed attenuata in rapporto a fattori socioculturali.
L’aggressività è divenuta allora un qualcosa di diverso dall’aggressione, che è invece un comportamento violento.
In quanto pulsione, elemento soggettivo, potremmo essere propensi a considerarla esclusivamente come una caratteristica propria dell’individuo. Tuttavia molte sono le sue espressioni collettive: in tal caso estremamente differenti divengono le sue manifestazioni, dirompenti ancora i suoi esiti.
La psicologia delle masse ha approfonditamente studiato questo fenomeno e moltissime e diversissime sono le interpretazioni e le motivazioni individuate per spiegarne le dinamiche, elaborando teorie ed ipotesi talvolta opposte, a seconda della prospettiva dalla quale le diverse scuole di pensiero l’hanno considerata. Molto ci si è soffermati sulle modalità di elaborazione dell’aggressività in un tale contesto.
Una corretta maturazione personologica necessita di una equilibrata applicazione di meccanismi educativi gratificanti e frustranti: soltanto imparando a dilazionare il momento della soddisfazione pulsionale si può gradualmente modificare il modo di pensare e di essere nel mondo. La sublimazione della pulsione aggressiva può avvenire correttamente soltanto in virtù di una profonda "essenza matura" e di una integrazione relazionale sufficientemente adeguata e consolidata.
L’integrazione nel gruppo costituisce, soprattutto nell’adolescente, ma non solo, l’unica forma disponibile per acquisire una propria identità. Questo meccanismo è fisiologico, ma può divenire a volte una condizione parafisiologica, se non nettamente patologica, nel momento in cui diffonde i confini del sé, indebolendoli.
Nel "bullismo", per esempio, come nelle violenze negli stadi, o nelle aggressioni da "gruppo selvaggio", difficilmente si agisce da soli: i comportamenti prevaricatori e violenti si concretizzano ad opera del gruppo, che diventa un microambiente nel quale ognuno si sente accolto e "valutato", quasi coccolato come nel luogo originario, nel quale può finalmente appropriarsi di un carattere, costruirsi un’immagine, rivedersi un’identità, e dove il leader, suo malgrado, non recita altro che un ruolo impostogli dagli eventi. In quel "luogo" il singolo diluisce i suoi confini insufficienti, si fonde con gli altri, che gli sono "pari", tanto nel pensare, quanto nel sentire, quanto nell’agire. La deresponsabilizzazione deriva allora come logica conseguenza del far parte di un organismo più grande, e quindi più forte, e quindi più difensivo. Ecco che in ciò si dichiara infine le reale condizione del singolo componente: la solitudine emotiva e l’insicurezza soggettiva. L’IO diventa NOI. Gli Altri restano al di fuori e divengono LORO. In quest’ottica la dimensione individuale acquista valore solo per gli Altri, che rimangono soggetti-oggetti su cui indirizzare il proprio desiderio di potere. L’onnipotenza infantile si amplifica e diviene sistema autoalimentatesi, generando una nuova psicologia: la mente collettiva tutto può, poiché le insicurezze simili, sommandosi, annientano il principio logico aritmetico, annullandosi e deresponsabilizzando il singolo. In questa dimensione la volontà di potenza sconfina nell’abuso e nel dominio gratuito, scavando un abisso tra due mondi, in uno dei quali si è NOI, nell’altro LORO. Ogni empatia, ogni sintonia è soppressa.