Autodeterminazione e senso morale nei comportamenti "folli"
Di fronte all’infittirsi di crimini che scuotono la coscienza individuale e lo spirito comune, ognuno di noi si pone delle domande sul limite tra la normalità e la follia, sulla responsabilità da attribuire al singolo, sulla intenzionalità della coscienza umana, ossia sulla capacità che ogni uomo ha di discernere secondo precetti morali tra il bene e il male, e sulla conseguente scelta di comportamenti virtuosi od aberranti. Da questi interrogativi, la riflessione può indirizzarsi su direttrici diverse: sul ruolo del contesto sociale e storico, sulla personalità del criminale, ma, soprattutto ad un livello più profondo, sulla capacità di autodeterminarsi conformemente ai principi dell’etica. Sono aspetti che si intersecano, poiché nulla in questo mondo è completamente autonomo ed indipendente.
La società postmoderna, come definiamo l’attuale, appare incapace di offrire riferimenti culturali univoci ed evidenti, sembra invece dominata dall’ambiguità, dal dubbio estremizzato e passivo, che nulla ha a che vedere col creativo dubbio cartesiano, dall’emanazione di messaggi ambivalenti. Senza voler esprimere giudizi di valore, sembra tuttavia evidente che si è dinanzi ad una instabilità ideologica nella quale si sono affievoliti alcuni valori ed alcune certezze storicamente consolidati ed entro certi limiti protettivi. La precarietà del mondo del lavoro, il continuo rimescolamento della progettualità educativa scolastica, la messa in discussione del senso della famiglia e dell’appartenenza etnica, la crisi dei ruoli: sono solo alcuni dei momenti concorrenti alla “perplessità” della società attuale ed all’indeterminatezza delle identità. In psichiatria, la perplessità indica una condizione di travolgimento emotivo che frammenta la realtà percepita, destrutturandone la continuità logica e temporale e determinando così uno stato di stupore incredulo e di derealizzazione. L’indeterminatezza che assurge ad elemento classificante dell’attuale società esprime una confusione disorientante, in cui vengono svalutate alcune prerogative organizzatrici, come l’esperienza fonte di ispirazione educatrice e formante, la distinzione e la chiarezza dei ruoli, l’eticità e la correttezza dei messaggi massmediatici. La delegittimazione della saggezza dell’età, l’eccessivo “giovanilismo” dei genitori, la sconsiderata esposizione di modelli dissennati di emulazione, non offrono schemi di riferimento sicuri e corretti e soprattutto la globalizzazione mediatica enfatizza l’eccezionalità, rendendola normalità. Le nuove generazioni vivono, nella maniera più corretta, il proprio tempo e la propria età, ma affinchè possano sviluppare una matura consapevolezza della realtà, hanno bisogno di modelli validi e regolari. E’ arduo definire cosa sia la validità ed ancor più la regolarità di un modello, senza rischiare di cadere nel qualunquismo o nella superficialità di giudizio, occorre quindi rifarsi ad una ritualità sociale e civile che, sola, può offrire le norme etiche entro le quali regolare i comportamenti. Ogni ragazzino è entusiasta quando riceve un giocattolo nuovo: lo apre, lo scopre, si incuriosisce, lo prova…senza minimamente interessarsi della serenità dei genitori o dell’integrità dei mobili. La conoscenza delle regole conduce al rispetto dell’altro, nella libertà di scegliere comportamenti che non ledono l’interesse comune, la dignità della persona, o la sua vita. In ciò entra in gioco la capacità, da parte dell’individuo, di aver potuto strutturare un saldo ed adeguato concetto di “morale”, a cui conformare il modo di sentire, di essere e di comportarsi. Solamente considerando una tale cornice di riferimento possiamo analizzare razionalmente comportamenti apparentemente impensabili per il senso comune, e responsabilizzare così la capacità di scelta soggettiva. In questo modo mi pare di rivalutare il ruolo della persona, soggettivamente intesa, in tutta la sua completezza e con la sua storicità esistenziale, ridimensionando il concetto di “personalità sociopatica” in auge fino a qualche anno fa. Ma se rivalutiamo il ruolo della persona, non dobbiamo tuttavia trascurare tutti i fattori che concorrono a formare la persona nella sua interezza e maturità, individuale e sociale. Dobbiamo soffermarci un attimo a riflettere su quali possono essere le responsabilità non tanto di chi commette l’atto, ma su quelle degli adulti-educatori, in relazione al ruolo da essi svolto sulla costituzione armonica di una personalità.
La formazione della morale, infatti, o meglio, di un controllo etico personale, è un momento cruciale nello sviluppo individuale e sociale della personalità. Essa, psicoanaliticamente, è assimilabile al concetto di Super-Io, e si realizza attraverso la mediazione tra le induzioni educative dei genitori e delle figure più significative (insegnanti, adulti di riferimento e aggiungerei i simboli massmediatici – divi ed informatori -), le pressioni ambientali e sociali (leggi, proibizioni) ed i desideri e le spinte pulsionali, espressi od inconsci che siano. Il trascorrere del tempo e l’adattamento alle norme della vita sociale concorreranno alla maturazione di un’etica personale autonoma, che informerà di sé tutto il modo di essere dell’individuo. Affinchè questa realizzazione si attui nella maniera migliore possibile sono necessarie alcune capacità: un buon livello intellettivo, un ottimale equilibrio emotivo che consenta la tolleranza alle inevitabili frustrazioni della vita, la capacità di procrastinare la ricerca della soddisfazione immediata, operando un congruo esame di realtà e l’elaborazione di condotte razionali. Al di là della patologia conclamata, nelle condotte antisociali od in tutte quelle che travalicano il comune senso dell’etica, nelle quali cioè si concretizzano azioni inconcepibili, gratuite, impulsive od anche meticolosamente programmate, nelle quali manca qualsiasi sentimento di colpa, qualsiasi rimorso, compiute nell’indifferenza emotiva più fredda e distaccata, non è consentita l’affermazione di condotte morali. La modalità di relazionarsi col mondo è improntata ad un puro sadismo, gli agiti rappresentano l’unico modo possibile per affermare il proprio sé fragile contro gli istinti arcaici, verso le frustrazioni o le supposte prevaricazioni. Una personalità strutturata secondo questi canoni ha necessità di contenimento emotivo e di confronto relazionale, in cui diluire le proprie esigenze pulsionali ed elaborare le tendenze aggressive. Una personalità così la conosciamo spesso come chiusa, isolata, distaccata ed a disagio nelle relazioni interpersonali, talvolta eccentrica. Essa ha necessità di un dialogo. Ed oggi, come risonanza di memoria pirandelliana, l’uomo si ritrova solo in mezzo agli altri, paradossalmente ricoperto da una miriade di messaggi e richiami, ma senza bidirezionalità, senza dialogo. Il venir meno della possibilità e della capacità di dialogo non solo intergenerazionale, ma anche intragenerazionale, lascia l’individuo preda passiva di comunicazioni totalizzanti che, nelle personalità fragili, in mancanza di un confronto strutturante, possono suscitare velleità acritiche di onnipotenza e di autoaffermazione.