"Il Potere", di Pino Rotta (prefazione)
Quali che siano le coordinate entro cui si svolge la parabola della nostra vita, il fattore psicologico più importante è costituito dalla possibilità di “sognare” opportunità future in grado di realizzare le più ambiziose aspettative personali e di migliorare la propria condizione. Il mondo fantasmatico costruito dal nostro inconscio è un serbatoio fondamentale dal quale attingiamo l’energia e l’immaginazione necessarie per costruire non solo la nostra personalità, ma anche il nostro domani. E’ in esso che si generano le speranze, le aspettative, le prospettive che orientano il nostro pensiero e il nostro agire.
Oggi, però, sembra quasi che gli eventi che accadono intorno a noi siano indirizzati verso una direzione che frustra ogni possibilità di immaginare un futuro migliore e il declino degli ideali, il degrado ambientale, l’esaurimento delle risorse naturali, il fanatismo terroristico e lo svilimento del senso etico si affiancano alla precarietà occupazionale e all’incertezza economica per dipingere uno scenario dominato da tinte fosche e da sentimenti realisticamente pessimistici.
Se a tutto questo aggiungiamo la percezione del vorticoso fluire del tempo e della mancanza di spazi ben definiti, riconosciuti e rassicuranti determinata dai moderni mezzi telematici, forse riusciremo a comprendere perché l’uomo moderno possa sentirsi oggi più di ieri smarrito e disorientato, prigioniero di un mondo instabile e indeterminato.
In questo contesto forse la sensazione più diffusa è quella dell’ineluttabilità, come se le cose che accadono non fossero esse stesse eventi determinati dalle nostre opere o dalle nostre omissioni, come se esse fossero delle conseguenze di scelte alle quali noi, piccoli elementi di un grande sistema, non possiamo nemmeno minimamente pensare di partecipare. Così tutto “accade”, tutto avviene sopra la nostra testa, tutto si svolge al di fuori delle nostre possibilità ed a noi sembra di osservare una scena virtuale senza la consapevolezza di esserne al contempo non solo spettatori, ma soprattutto attori. Nessuno di noi può chiamarsi fuori dalla Storia che si sta scrivendo sotto i nostri occhi, nessuno può affermare di non partecipare agli eventi che stanno trasformando così convulsamente il mondo contemporaneo.
Probabilmente in tutto questo possono giocare un ruolo importante dimensioni psicologiche legate ad archetipi profondi, che riattivano in noi angosce primordiali collegate alla paura dell’ignoto. Sia l’incertezza sul futuro, sia il presente vissuto sotto l’ombra della provvisorietà divengono rappresentazione dell’illusorietà e di quell’imprevedibilità che sfugge ad ogni controllo razionale e sappiamo bene che ognuno di noi ha bisogno, almeno, di illudersi di controllare l’ambiente in cui vive. Il sentimento di precarietà che scaturisce da queste considerazioni genera a sua volta confusione, contraddizioni e un diffuso pensiero di transitorietà alimentati oltretutto da un sistema di comunicazione strumentale e sottoposto alle esigenze del mercato e delle logiche dei poteri dominanti.
La storicità, invece, rappresenta l’elemento comune di una Società, il filo temporale che ne collega l’esistenza, la materia che ne determina la continuità e l’identità, dimensione che in fondo le conferisce una forma ben definita, elevandola a creatrice di Civiltà. Ma l’epoca attuale sembra avere smarrito questo senso della memoria, distratta nel fare tesoro delle esperienze acquisite e di un patrimonio che potrebbe essere un contenitore consolatore per il presente e una guida illuminata per il futuro. La Civiltà umana si protegge e si evolve in virtù della sua memoria storica, del suo ininterrotto progresso fatto sì di conquiste e di miglioramenti, ma disseminata anche di eventi negativi.
Uno dei punti forti di questa raccolta è certamente la volontà di focalizzare l’attenzione, e quindi di riconquistare la memoria storica, sugli eventi accaduti negli ultimi anni e sulle premesse che, se lette per tempo e tenute in considerazione, avrebbero potuto rappresentare probabilmente degli elementi da cui partire, se non altro, per limitare i danni.
Molti editoriali analizzano le radici antropologiche di una crisi che è divenuta globale (oppure di una crisi globale che è implosa e ha generato tante altre crisi localizzate…?), altri le ragioni politiche ed economiche, altri ancora quelle culturali e filosofico-religiose, tenendo insieme avvenimenti in apparenza, e solo in apparenza, molto diversi tra loro. Siamo veramente sicuri che tutte queste prospettive non abbiano nulla in comune, oppure, come ci ha insegnato l’esperienza della globalizzazione, dobbiamo pensare che non esistono più ambiti concepibili come concettualmente autonomi e indipendenti?
Il saggio collega gli accadimenti, fornisce al lettore un prezioso grand’angolo col quale osservare un panorama ampio e gli offre elementi di approfondimento essenziali per una comprensione critica di avvenimenti anche distanti nel tempo.
L’ottica di osservazione non si esaurisce mai nella pura analisi, o nella descrizione, come farebbe un mero sociologo, ma si sforza quasi sempre di individuare elementi critici, punti nodali e sostanziali dai quali ripartire per cercare di dare risposte e di incidere in modo fattivo sui “destini del mondo”, come farebbe, invece, un sociologo-politico.
Il lavoro non è semplice, né facile, né, forse, concretamente palpabile, nel senso di offrire una percezione immediata dei risultati, ma sicuramente riesce a dare spunti di riflessione e a suggerire vie da percorrere.
A cosa serve un saggio del genere, ci si potrebbe chiedere. Si potrebbe rispondere con le parole dell’Autore stesso: “…anche per rivolgersi a chi aveva il compito di agire per il bene comune e non ha saputo o voluto farlo…”. Oppure ancora dicendo che è venuto il momento di “coagulare” le conoscenze, per usare un termine prezioso in alchimia.
Così come sottilmente e continuamente la Cultura dominante, attraverso gli indirizzi forniti in maniera ora assordante ora silenziosi, ma con altrettanta dirompente eco emotiva, è riuscita a condizionare la coscienza collettiva e ad orientarla verso modelli di esistenza inadeguati, ove non aberranti (penso alle “guerre giuste”, per fare solo un esempio), il suggerimento che scaturisce dalle riflessioni che leggiamo in questa raccolta è quello di scuotere la coscienza degli “Intellettuali” verso una sempre maggiore e più viva presenza all’interno della Storia e della Società in cui vivono, poiché, come riporta l’Autore, si possa dire “Io forse ho perso, ma ho partecipato e non mi sono arreso”.
In un’epoca nella quale i più profondi valori cristiani, che, credenti o non credenti, accettiamo per la loro universalità, sembrano irrimediabilmente decaduti, allorchè la violenza privata e collettiva sembra prendere il sopravvento sul bene della pace e della concordia, quando il più bieco individualismo sembra sopraffare i valori della solidarietà e l’interesse privato viene prima del bene pubblico, allorchè l’egoismo soffoca l’altruismo, l’intolleranza uccide l’umiltà della condivisione e della comprensione, sono i concetti stessi di libertà, di giustizia sociale e di democrazia a venir meno.
Questo è un messaggio che deborda da ogni pagina, come da tutto il libro tracima con altrettanta forza l’esigenza di un “nuovo umanesimo” che rivaluti i beni della libertà e della giustizia e di cui gli Intellettuali dovrebbero farsi promotori visibili, probabilmente scendendo dalle loro torri d’avorio, uscendo dai loro santuari, schiarendosi la voce e sensibilizzando le menti, in modo che la coscienza divenga consapevolezza: solamente quando vi è consapevolezza si ha il coraggio di agire, la forza per tentare di modificare una situazione inaccettabile. Nella nostra epoca globale, senza spazi e senza tempi per riflettere, il compito dell’Intellettuale non è solo quello di valutare con saggezza i messaggi sociali, di contestualizzare gli eventi, di vagliare con spirito critico le conoscenze per renderle elaborabili dalla collettività, oppure quello di tramandare le esperienze acquisite ma dimenticate dal sistema. La sua funzione è anche quella di “urlare” contro le false suggestioni del profitto e della forza che ci vengono propinate dall’Establishment e di promuovere nuove e “vere” concezioni, assumendosi la responsabilità di riscrivere i princìpi del Terzo Millennio, alla luce di quella nuova umanità che ispira il loro autentico e segreto “sentire”.
Salvatore Romeo