I Disturbi della Condotta e del Comportamento in età adolescenziale
La nostra vita risente degli avvenimenti trascorsi, così come il nostro carattere si forma in base alle esperienze vissute.
E l’infanzia e l’adolescenza sono i periodi della vita che più di tutti incidono sia sulla formazione della nostra personalità che sulla qualità della nostra vita attuale.
Nessuno di noi dimenticata la propria fanciullezza.
Nella nostra mente albergano tutti i passi che abbiamo compiuto nel corso della nostra evoluzione personale, costituendo quella che è la nostra esperienza.
I nostri ricordi ci guidano verso il futuro, ci consigliano nell’affrontare il presente, ci provocano degli stati d’animo piacevoli o dolorosi in rapporto a quanto abbiamo vissuto nel passato.
Tutto viene registrato e nulla viene dimenticato, e di questo tutti quanti diventiamo consapevoli nel momento in cui riusciamo a rammentare avvenimenti antichi con dei semplici sforzi di memoria.
Tuttavia, ciò che riveste un’importanza fondamentale per la formazione del nostro carattere, ciò che influenza il nostro stile di vita o i nostri modi di affrontare le cose o di reagire alle evenienze della quotidianità, costituisce un patrimonio di esperienze che vengono immagazzinate nella nostra mente in maniera pressoché inconsapevole.
Questo significa che la maggior parte delle esperienze incidono sul nostro modo di essere senza che noi ne siamo coscienti.
Lo sviluppo della personalità è un processo che coinvolge tanto la struttura stessa del cervello, quanto tutte le esperienze che ogni bambino vive in ogni momento della sua vita insieme alle persone che si prendono cura di lui (genitori, insegnanti, educatori…), attraverso una interazione tra adulto e bambino, che è fatta di meccanismi di attaccamento e di separazione, di una continua alternanza di gratificazioni e di frustrazioni, che conferiscono sicurezza e protezione, ma anche, e soprattutto, quel senso di identità personale, di autoconsapevolezza, di autovalutazione e di autoaccettazione che è tanto importante per la formazione di un carattere armonico ed equilibrato.
L’arco della vita non è un susseguirsi di fasi autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma è una linea continua di momenti esistenziali ininterrotti nei quali ogni stadio evolutivo è la diretta espressione e conseguenza di quello precedente.
Non solo, ma tutti i diversi contesti nei quali ognuno di noi è immerso (famiglia, scuola, gruppi…) non sono dei luoghi isolati, ma risentono delle influenze degli altri luoghi, degli altri contesti vissuti.
A volte tendiamo semplicisticamente a dare poca importanza a particolari momenti difficili che possono attraversare i bambini, o a loro particolari disagi, convinti che si tratti di condizioni passeggere, insite nel normale processo della crescita e che tutto col tempo passi e si aggiusti.
Riflettiamo un po’ per un attimo e possiamo vedere quante situazioni possono essere presenti nella condizione normale di un bambino, situazioni che spesso non vengono riconosciute o che spesso vengono taciute per motivi diversi.
Difficoltà finanziarie in famiglia, conflittualità e disarmonie coniugali, separazioni, malattie, nascita e conseguente gelosia verso nuovi fratellini, inizio degli studi e inserimento in contesti nuovi e sconosciuti, difficoltà di apprendimento, episodi di bullismo subiti e spesso taciuti, rappresentano esperienze traumatiche più o meno intense che hanno bisogno di essere riconosciuti e supportati con correttivi adeguati.
Noi siamo portati a minimizzare, in genere e a volte, situazioni che in un adulto potrebbero produrre sicuramente un profondo disagio emotivo, se queste coinvolgono invece un bambino, in nome di un luogo comune estremamente sbagliato, ma molto radicato, che vuole l’adolescente ancora non completamente maturo per poter comprendere certe cose.
Nulla di più fuorviante, come detto, perchè i bambini non sono poi tanto diversi dagli adulti, anzi, se una diversità vogliamo coglierla, è quella relativa ad una loro maggiore vulnerabilità.
A quelle età non si possiedono ancora tutti gli strumenti necessari ed adeguati per elaborare e per valutare in maniera obiettiva e distaccata tutta la realtà e nei bambini, ancora, come possiamo facilmente intuire, è estremamente importante il bisogno di dipendenza e di rassicurazione da parte di coloro che se ne prendono cura.
Alla luce di queste considerazioni appare quindi importantissimo cogliere e valutare i molti segnali di disagio psicologico che ci provengono dai bambini, poiché possono essere la spia di una difficoltà di adattamento che può avere grandi ripercussioni sull’equilibrio psicologico sia del bambino nella situazione attuale che dell’adulto nel futuro.
Nella storia di molti fruitori dei Servizi di tossicodipendenza, per esempio, è facile riscontrare vissuti di disagio infantile, difficoltà emotive ed alterazioni del comportamento che ne hanno condizionato la personalità, compromettendone un armonico sviluppo.
Come purtroppo si sa, ogni bambino può attraversare nella sua vita momenti difficili, momenti segnati da sofferenza o da ribellione, da chiusura o da esuberanza poco gestibile, e generalmente, e soprattutto quando il disagio non è particolarmente grave, queste fasi vengo affrontate insieme alla famiglia ed agli insegnanti.
Ma spesso vi è la tendenza a sottovalutare alcuni segni che ad occhi comuni possono apparire come manifestazioni di passeggeri disagi emotivi o relazionali che il trascorrere del tempo risanerà e che, se pur in effetti apparentemente si estinguono, invece, lasciano delle tracce, dei semi dai quali in seguito possono svilupparsi delle vere forme di disagio mentale nelle età successive.
Alcuni comportamenti che possono sembrare, e che spesso vengono interpretati, come accentuazioni di atteggiamenti normali, a volte nascondono delle vere anomalie psicologiche, delle sofferenze dalle quali, se trattate, possiamo liberare il bambino.
Tutto risiede nel liberarci prima noi da tutta una serie di pregiudizi che riguardano tanto il senso che comunemente tendiamo a dare alla “malattia mentale”, quanto l’assunzione di psicofarmaci.
La mente è un organo del nostro corpo.
Siccome è impalpabile, però, viene difficile considerarlo ed ammetterlo.
Ma i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri stati d’animo, i comportamenti, la nostra stessa intelligenza nascono dal cervello, che è fatto di cellule come qualsiasi altro organo del nostro corpo.
Quante ritrosie, quante ribellioni, quante ostinatezze o lamentele di malesseri vari vengono accampate da alcuni bambini per evitare di andare a scuola; quanta preoccupazione o paura possiamo cogliere sui visi di altri bambini quando vengono interrogati, o quando vengono chiamati alle recite scolastiche, a quanti blocchi o svenimenti, rifiuti o scoppi di pianto per non esporsi all’attenzione degli altri assistiamo quasi quotidianamente; e quell’eccessiva timidezza che porta addirittura a chiudersi in se stessi e a non parlare, a non rispondere a nulla in contesti nei quali invece non solo è naturale, ma è addirittura previsto interagire con gli altri, una chiusura che stride in quegli stessi bambini che, al contrario, si comportano normalmente in ambienti familiari…
Ebbene, sono situazioni comunissime e possiamo ascriverle a timidezza, ad una qualche forma di impaccio, a scarsa familiarità con un ambiente nuovo.
Ma se questi comportamenti perdurano nel tempo e se, soprattutto, compromettono a lungo andare sia il rendimento scolastico che le relazioni interpersonali del bambino, allora è lecito individuarli come disturbi da tenere in considerazione e da correggere (per inciso, si tratta rispettivamente di Ansia di separazione, Fobia sociale e Mutismo selettivo).
Come non si devono sottovalutare molti sintomi fisici, o un’eccessiva e prolungata svogliatezza, uno sfondo molto duraturo di umore triste senza apparente causa, o sproporzionato rispetto all’eventuale motivo scatenante, o a volte le ribellioni di alcuni bambini (per esempio rifiuto di andare a scuola), che mascherano così spesso una sottostante Depressione.
La Depressione nell’adolescenza difficilmente assume le caratteristiche tipiche della malattia nell’adulto.
Spessissimo manca un franco umore triste, mentre sono molto frequenti le lamentele fisiche e gli atteggiamenti ribelli ed oppositivi.
Molto si è parlato del Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività nei bambini (ADHD).
Come si fa a distinguere un bambino affetto da ADHD rispetto ad un bambino definito normale?
I bambini con ADHD non sono poi molto diversi dagli altri in contesti normali, quando ci si attende che l’attività motoria sia alta in tutti i bambini, per esempio.
La differenza, invece, risalta nelle attività scolastiche strutturate, allorchè ci si attende una certa “compostezza”, una certa tranquillità comportamentale.
In questi bambini continua invece a permanere la necessità di muoversi, di non riuscire a stare fermi, e questa iperattività permane elevata anche durante il sonno, oltre ad essere accentuata da particolari condizioni, come ad esempio uno stato emotivo particolare, la presenza di fame o la mancanza di sonno, i luoghi rumorosi od affollati.
Sono bambini molto esuberanti, e manifestano questa loro vivacità anche attraverso una impulsività che coinvolge le emozioni e le motivazioni oltre che i comportamenti: progetti e programmi non vengono quasi mai rispettati o completati, vi possono essere scoppi di rabbia e di aggressività impulsiva ed incontrollata, anche in risposta a provocazioni minime; l’esplorazione dell’ambiente è anch’essa estremamente vivace, e la ricerca energica di luoghi e di cose nuove ne costituisce una espressione estremamente caratteristica (entrando in una stanza il bambino per esempio, può immediatamente cominciare a toccare tutti gli oggetti, ad arrampicarsi in maniera impropria dappertutto, a rompere gli oggetti in modo non intenzionale, ad introdursi in aree proibite o pericolose, rischiando anche e frequentemente di procurarsi danni fisici, come fratture o ingerendo di tossici.
Non è raro che la scarsa capacità di mantenere l’attenzione fissata comprometta, d’altra parte, tutto il loro rendimento scolastico.
In quest’ultimo caso, cioè nelle forme di ADHD in cui prevale la compromissione dell’attenzione, si hanno generalmente scarsi disturbi del comportamento, mentre sono, di contro, accentuati soprattutto i sintomi dell’ansia o dell’umore, con intensa timidezza e poca propensione all’impulsività.
Problemi occasionali della condotta sono parte della fanciullezza normale, ma quando questi comportamenti causano un disagio od una compromissione significativa del funzionamento e delle relazioni sociali, allora occorre valutare attentamente la possibilità che si possa trattare di un disturbo psicologico, ed un comportamento abnorme, se eccessivo o protratto nel tempo, costituisce nella maggioranza dei casi un precursore di fenomeni di aggressività e di violenza che si realizzano nell’età giovanile o adulta.
Importante, anche qui come in precedenza, prenderli in considerazione e seguirne l’evoluzione nel tempo, valutando anche l’età stessa in cui si manifestano le alterazioni, perché le implicazioni sono ovviamente diverse a seconda che il disturbo si manifesti nell’infanzia o nell’adolescenza.
Pensiamo, per esempio, al Disturbo Oppositivo-provocatorio ed alle strette correlazioni con una grave alterazione della personalità nell’adulto, il Disturbo Antisociale, od alle correlazioni con fenomeni di Bullismo, nell’adolescenza.
Scoppi frequenti di collera, ripetuti litigi con i coetanei e con gli adulti, atteggiamenti eclatanti ed aperti di sfida, di rifiuto di accondiscendere alle richieste od alle aspettative degli altri, una eccessiva suscettibilità, continui comportamenti dispettosi, un uso frequente e sproporzionato di bugie sono elementi indicativi di questa anomalia della condotta.
Invece, comportamenti di prepotenza, una certa facilità ad attaccare briga con chiunque, a mettere in atto comportamenti di crudeltà gratuita verso altre persone od animali, di distruttività deliberata verso gli oggetti, di effettuare piccoli atti delinquenziali (furti, appiccare il fuoco…), di allontanarsi autonomamente da casa, è possibile riscontrarli in altri Disturbi più generici del comportamento.
Ad eccezione di questi ultimi aspetti, quelli descritti in precedenza sono comportamenti che possono manifestarsi, isolatamente e di volta in volta, in bambini perfettamente adattati, e spesso ciò accade, ma anche qui non mi stancherò mai di ribadire che per poter parlare di vera malattia occorre sempre tenere presente la loro frequenza ed il grado di compromissione della funzionalità globale del soggetto.
Si tratta di atteggiamenti che si possono verificare in occasioni di particolare stress, ma se sono molto persistenti e più accentuati rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare in simili situazioni da parte di altri bambini (comportando a volte frequenti incomprensioni e discussioni genitori-figli), allora occorre prendere in considerazione la presenza di un Disturbo psicologico.
Ma queste sono situazioni, tuttavia, per fortuna, non molto frequenti, anche se è importante conoscerne l’esistenza e l’eventualità di realizzazione.
Un fenomeno che invece si è molto diffuso è quello del Bullismo, spesso disconosciuto e sottovalutato.
In questo caso occorre considerare tanto le gravi ripercussioni nelle vittime, tanto i segnali di disagio che ci inviano gli autori degli atti attraverso i loro comportamenti aggressivi.
L’aggressività è una componente naturale di ogni persona, e rappresenta una forma di energia psicologica essenziale e molto importante per il normale funzionamento della nostra mente, ma occorre riuscire a contenerla entro argini sicuri e ad incanalarla su binari adeguati e, appunto, funzionali.
Non bisiogna mai confondere l’aggressività con l’aggressione, che è invece la messa in atto di un comportamento violento.
L’aggressività rappresenta quindi una forza positiva spendibile per raggiungere mete ed obiettivi concreti nella vita, ma se essa non viene gestita adeguatamente allora può manifestare tutto il suo potere distruttivo e dare luogo a comportamenti devianti e disturbati.
Spesso questa forma di energia viene utilizzata, e spesa, quindi, per favorire l’integrazione nel gruppo, integrazione che nell’adolescente costituisce un meccanismo importantissimo per acquisire una propria identità personale.
Ma questo meccanismo può, comunque, rappresentare un grave rischio, nel momento in cui, invece, una personalità ancora immatura ed in via di formazione, come quella dell’adolescente, ricerca la propria affermazione attraverso comportamenti di visibilità, spesso concretizzati con atti violenti che altro non rappresentano se non una risposta, inadeguata, ma pur sempre una reazione quindi, alla percezione della propria fragilità e vulnerabilità.
In un tale contesto, allora, il ragazzo si identifica col gruppo, non compie quasi mai da solo i suoi atti prevaricatori, e tende spesso ad utilizzare gli altri, dai quali si sente accolto e valutato come un leader.
E’ ciò che si realizza, per esempio, nelle aggressioni da “gruppo selvaggio”, nelle violenze negli stadi, ma anche nel Bullismo.
Si tratta di comportamenti che vengono attuati per ovviare quindi ad un profondo senso di insicurezza e di solitudine interiore: il ragazzo recita suo malgrado, spesso, un ruolo che in fondo non gli sarebbe proprio, ma che gli viene imposto dagli eventi.
Ecco, pertanto, che di fronte a condotte di questo genere dobbiamo sicuramente porgere attenzione ai danni psicologici, per quello che riguarda il nostro ambito, che si infliggono alle vittime.
Ma forse dovremmo anche considerare il segnale di allarme che ci proviene dalla personalità dell’”attore”, cioè di chi commette gli atti, poiché esso rappresenta una denuncia chiarissima del suo disagio personale e psicologico.
Dobbiamo, come già detto, liberarci da pregiudizi purtroppo consolidati, da sentimenti di vergogna, da sensi di colpa più o meno avvertiti, da timori ingiustificati di stigmatizzazione negativa, poiché individuare “soggetti definiti a rischio” non significa individuare automaticamente “soggetti ammalati”, ma vuol dire porre attenzione e prendere in considerazione soggetti esposti in misura superiore alla norma al rischio di sviluppare un disagio psicologico, e quindi poterli aiutare.