Il Mobbing

05.09.2013 19:03

 

1.     Negli ultimi anni l’attenzione rivolta alle condizioni delle persone negli ambienti di lavoro, non solo al loro stato di benessere fisico ma anche psicologico, ha messo in rilievo una particolare forma di “patologia sociale” definita mobbing.

La ribalta che questo termine si è conquistata nel tempo deriva anche, se non soprattutto, da una forte e sempre più emergente richiesta di risarcimento negli ambienti di lavoro, nonché dalla notevole risonanza ed amplificazione del fenomeno da parte dei mass media.

In Italia sono sorti molti Osservatori e sportelli di informazione, con lo scopo di portare alla luce un fenomeno sommerso o taciuto ed un aiuto concreto alle vittime.

2.     Il Mobbing, tuttavia, è un fenomeno sempre esistito, ma solo in tempi relativamente recenti sistematizzato come entità specifica e riferibile, secondo la definizione della Psicologia del lavoro, ad una “situazione lavorativa di qualità sistemica, persistente ed in costante progresso ,in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio, da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità”.

3.     Da questa definizione possiamo trarre già alcuni elementi per inquadrare il Mobbing.

In primo luogo, consideriamo quindi il contesto, che deve essere il luogo di lavoro, condizione che lo differenzia da altre forme di violenza psicologica o fisica che non avvengono però all’interno dell’ambiente lavorativo, come il Bullismo, per esempio.

Quest’ultimo è una forma di terrorismo psicologico o di sopraffazione e violenza fisica esercitata anche, a volte sui posti di lavoro, ma soprattutto nelle scuole, o a casa, nelle carceri o nelle caserme. E’ un esercizio del comando attuato attraverso la prepotenza e tiranneggiando i sottoposti o soggetti comunque più deboli, a causa di un discontrollo dell’impulsività o di un Io fragile che ricerca l’auto affermazione unicamente per mezzo di azioni aggressive.

Una seconda considerazione va fatta in merito alla durata del comportamento aggressivo. Le condotte vessatorie devono essere persistenti e protratte nel tempo (in media una a settimana per almeno sei mesi). Anche questo elemento distingue il Mobbing da altre Molestie morali, come gli abusi a connotazione sessuale o di discriminazione razziale, che si realizzano in modo isolato e non continuo.

Il Mobbing è invece costituito da una serie di comportamenti vessatori reiterati, chiari, evidenti, non ambigui, attuati con sistematicità continua, per lungo tempo, mediante condotte accomunate da uno scopo specifico e determinato ed in genere non dichiarato, che è quello di isolare socialmente, di emarginare e di escludere il lavoratore dal gruppo.

Le azioni situazionali, seppur mobbizzanti, ma momentanee e non abituali, non costituiscono Mobbing.

Emerge qui un terzo elemento discriminante, che è quello dello scopo, dell’intenzionalità motivata della condotta vessatoria.

Il termine deriva dall’inglese “to mob”, che significa letteralmente “assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno”, in un certo senso determinando una forma di “terrore psicologico”, che mira alla distruzione della persona.

4.     Il Mobbing è un fenomeno che possiede una sua epidemiologia specifica.

I settori di prevalenza variano considerevolmente:

Industria Produzione Beni di Servizio 38%

Amministrazione Pubblica 22%

Scuola e Università 12%

Sanità/Ospedali 8%

Agricoltura e Settore forense 2%

Altri settori 1%

5.     L’età delle vittime del Mobbing vede una sua maggiore concentrazione tra i 31 ed i 50 anni:

< 20 : 0%

21 – 30 : 5%

31 – 40 : 32%

41 – 50 : 48%

51 – 60 : 15%

>61 : 0%

       6.  Il sesso del Mobber è in maggioranza maschile ed 1/3 degli uomini sceglie come vittima una donna.

Il 27% dei Mobbers è in posizione inferiore.

7.     La coesistenza quotidiana e prolungata nello stesso ambiente produce in genere delle dinamiche relazionali dalle quali è quasi inevitabile che non possano scaturire controversie, incomprensioni o piccole competizioni isolate e circoscritte nel tempo, che rappresentano gli esiti dell’espressione dell’emergere di tratti caratteriali tipici e diversi all’interno di un gruppo eterogeneo, quale può essere un gruppo di lavoro.

Si tratta di condizioni normali ed addirittura funzionali per il buon andamento del gruppo e per  l’abreazione delle fisiologiche tensioni che si verificano all’interno di un qualsiasi sistema chiuso; esse non possiedono carattere di sistematicità, né hanno un obiettivo predeterminato, ed ancora sono contraddistinte generalmente da un carattere di reciprocità e seppur possono produrre una qualche forma di disagio psichico, certamente non si connotano come Mobbing.

Il mobbing va quindi distinto dalle controversie che si verificano quotidianamente nell’ambito del lavoro.
      8. Gli elementi identificativi del mobbing sono:

-       la presenza di almeno due soggetti, il mobber (parte attiva) ed il mobbizzato (parte passiva);

-       l’attività vessatoria continua e duratura;

-       lo scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro.

9.     Non esiste una tipologia particolare di persone che può con maggiore probabilità di un’altra divenire vittima di mobbing, poiché il suo verificarsi non dipende tanto dalle caratteristiche individuali (ritengo: se non in una certa misura, spesso trascurabile), ma da un complesso di determinanti che investe sia l’organizzazione del gruppo, che l’appropriatezza del management, sia il livello di stress sistemico, che piccoli e poco significativi eventi relazionali (promozioni, nuovi arrivi, gelosie, ecc.).

Spesso le dinamiche sistemiche sfuggono al controllo consapevole dei singoli, determinando quelle atmosfere di complicità conflittuale che realizzano un fertile terreno per lo sviluppo di una condizione di mobbing (orizzontale), nelle quali la vittima viene individuata generalmente per motivi casuali.

Il mobbing può colpire chiunque e non esiste nessuna responsabilità personali da parte della vittima, non dipende quindi dalle caratteristiche della personalità della vittima o dell’aggressore, ma è strettamente relazionato alla degenerazione dei conflitti interpersonali che scoppiano in ambienti di lavoro mal organizzati e mal gestiti dal punto di vista delle risorse umane.
In ogni caso è necessario considerare che in un qualsiasi gruppo vengono con maggiori difficoltà accolti e accettati comportamenti che si discostano dalla media; pertanto possono essere maggiormente a rischio tanto coloro che ottengono risultati particolarmente brillanti, tanto coloro che producono rendimenti inferiori alla media, ovvero ancora con capacità lavorative ridotte, quelli che si estraneano o non collaborano in modo adeguatamente integrato ed adattato in gruppi governati da specifiche e contestuali dinamiche di coesione.

10.  Il Mobbing è un fenomeno complesso e nel suo ambito sono state individuate diverse tipologie dinamiche in base alle quali si è stilata una precisa classificazione:

1.     mobbing di tipo orizzontale ovvero le azioni discriminatorie attivate dai colleghi nei confronti della/e vittima/e

2.      mobbing di tipo discendente ovvero quello perpetrato nei confronti della vittima da un superiore

3.      mobbing misto o combinato ovvero ciò che avviene quando il mobbing orizzontale alimenta quello di tipo discendente cioè quando i colleghi, fornendo informazioni al superiore sulla vittima, la danneggiano su più fronti

4.     mobbing ascendente ovvero quell’azione che permette all’azienda, attraverso la complicità di dipendenti, attraverso azioni vessatorie, di escludere ed emarginare un superiore di cui non riconoscono o non accettano l’autorità.

11.  Il mobbing misto, o combinato, si realizza attraverso la sommatoria, esponenziale e non aritmetica, della forma discendente e di quella orizzontale.

Le azioni persecutorie perpetrate da un superiore vengono in questo caso alimentate ed amplificate da atteggiamenti palesemente vessatori o subdolamente dannosi e denigratori da parte di colleghi.

All’interno del microsistema lavorativo, in maniera più o meno evidente, si struttura progressivamente una conflittualità quotidiana che si esprime con manifestazioni scherzose, ironiche o sarcastiche, con piccoli attacchi e meschinerie più o meno mascherate. Piccole “cattiverie innocenti” trovano spesso l’obiettivo in un nuovo arrivo, o in un collega “antipatico”, o più brillante, verso cui nascono gelosie ed invidie inconfessate, oppure emergono in un clima saturo di una sorta di noia da monotona consuetudine, od anche pervaso da uno stress dovuto ad una inappropriata organizzazione del lavoro.

Se l’ “oggetto” è già vittima di vessazioni da parte di un superiore, la sua immagine può già apparire svalutata ed i colleghi ne colgono la debolezza e la fragilità, attaccandone i punti vulnerabili. La continuità degli attacchi aggressivi isola sempre di più la vittima e la diffusione dei comportamenti, delle opinioni gratuite, delle comunicazioni deformanti e denigratorie costruiscono col tempo un “mito negativo”, dal quale la vittima non ha più la possibilità di sfuggire.

12.  Ecco che essa incomincia ad esprimere sentimenti di incapacità, di inadeguatezza, di autosvalutazione, di autodisistima, di autobiasimo, di frustrazione, addirittura di colpa, con conseguenti sintomi di depressione, di disforia e di ansia psicosomatica.

Il mobbing misto è una forma particolarmente pervasiva e grave; esso rappresenta la forma di vessazione più terrificante e devastante il complesso psicologico ed esistenziale della vittima. Quest’ultima, infatti, percepisce l’aggressione provenire da tutte le direzioni, dai superiori e dai pari, per cui si sente sola contro tutti, e col tempo struttura un vissuto di fallimento e di autoaccusa che investe tutta l’immagine di sé. La vittima designata esperisce una serie di emozioni negative che minano nel profondo della sua interiorità tutta la percezione di sé, sminuendo e svalutando la totalità della sua personalità.

13.  Particolarmente, è questo tipo di mobbing combinato che può determinare ancora un’altra conseguenza angosciosa, che definiamo “doppio mobbing”: la vittima trasferisce il suo disagio lavorativo anche in famiglia, alla quale chiede aiuto e dalla quale si aspetta sostegno. Ma qui, col cristallizzarsi del logorio, l’immagine stessa della vittima viene ancora una volta, e più significativamente, intaccata: essa viene considerata un debole, un fallito, una personalità che non solo viene scarsamente tenuta in considerazione dai superiori, ma che non è in grado nemmeno di mantenere la stima e la solidarietà dei colleghi, che gli sono anch’essi, invece, ostili e che la dileggiano.

14.  Vi è un’altra forma particolare di condotta vessatoria attuata in genere dal management di un’azienda o di un’impresa e che configura a tutti gli effetti un Mobbing di tipo verticale: è il Bossing.

Il bossing è il mobbing verticale praticato dai superiori sui subordinati e si configura come una strategia aziendale il cui obiettivo generalmente è quello di “svecchiare i reparti”, ossia eliminare dei lavoratori senza destare dei “casi sindacali o legali”; accade spesso nel corso di ristrutturazioni aziendali o di fusioni in cui il nuovo disegno organizzativo “ha tagliato fuori certi lavoratori”. Per attuare questo processo è necessario impedire ai dipendenti lo svolgimento delle normali mansioni lavorative per poi dimostrarne lo scarso rendimento e giustificarne così il licenziamento o indurre le dimissioni. Il risultato è sempre negativo: la persona subisce danni economici, morali e biologici.

15.  Nella sua dinamica si distinguono classicamente diverse fasi, precedute generalmente, in Italia, da una “prefase”, o “condizione 0”, contraddistinta dalla presenza di un conflitto psicologico generalizzato che purtroppo sembra tipico in quasi tutti i luoghi di lavoro, e fatto di discussioni, piccole accuse e ripicche, risentimenti, invidie, rivendicazioni sterili che infine concretizzano un’atmosfera di “tutti contro tutti”.

Si tratta di una situazione presente nella realtà italiana e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, caratterizzato da una sfrenata anche se occulta competitività. Esiste il solo desiderio di elevarsi sugli altri. E non una ben definita e chiara volontà di vittimizzare qualcuno. . I rapporti personali tra colleghi sono normalmente inesistenti o improntati su una gelida cortesia formale.

Il mobbing è un fenomeno che si sviluppa secondo delle tappe ben precise fino all’estromissione della vittima dal mondo del lavoro.

16.  La prima fase: il conflitto mirato
In questa prima fase vi è l’individuazione della vittima e la conflittualità viene orientata ora verso di essa. Non si tratta più di una conflittualità fisiologica latente e stagnante, ma si mettono in moto una serie di azioni vessatorie dirette verso l’”avversario”. Il conflitto si sposta dal piano oggettivo ed impersonale verso quello emotivo e personale, non è più, inoltre, limitato al campo del lavoro, ma può investire anche la vita privata della vittima.

17. La seconda fase: l’inizio del mobbing
In questa fase gli attacchi del mobber non causano ancora delle vere e proprie malattie sulla vittima, ma le procurano un senso di disagio e di fastidio. La vittima percepisce un clima fatto di tensioni e di silenzi, accusatori o umilianti, e comincia ad interrogarsi su tale mutamento di atteggiamenti; il più delle volte non è ancora consapevole di essere stata scelta come bersaglio e l’ambiente lavorativo comincia a diventare pesante e fonte di disagio.

Accenniamo soltanto qui, ancora, ad una figura quasi sempre presente in qualsiasi ambiente in cui si consuma una situazione di mobbing e sulla natura delle cui motivazioni non ci addentriamo per nulla, che è quella del cosiddetto “Side Mobber”, che è colui che collabora col Mobber nelle azioni mobbizzanti anche passivamente (talora semplicemente tacendo).
18. La terza fase: primi sintomi psicosomatici
La vittima comincia ad accusare i primi sintomi, vaghi e per lo più sotto forma di malattie psicosomatiche relative alla sfera digestiva, disturbi nella concentrazione e nella memoria, emicranie, disturbi del sonno, senso di ansia generalizzato e persistente, tensioni varie, sentimento di insicurezza e labilità emotiva, eccessiva apprensione ed irrequietezza oppure profondo senso di prostrazione.
19. La quarta fase: errori ed abusi dell’amministrazione del personale

A questo punto il caso di mobbing è diventato pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione dell’amministrazione del personale che, notate le frequenti assenze per malattia da parte della vittima, trova più semplice richiamare la persona con contestazioni e provvedimenti disciplinari, anzichè capire il vero motivo di queste assenze ripetute.
20. La quinta fase: serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima
In questa fase il mobbizzato è in preda alla disperazione ed entra in un circolo vizioso in cui è portato a compiere errori  su errori, sempre più frequentemente; egli si auto convince di essere una nullità e che tutto ciò che sta accadendo è colpa sua: questa errata convinzione di “auto-attribuzione di colpa” non fa altro che condurlo sempre più verso il baratro esistenziale, poiché ingloba col tempo anche le altre sfere della sua vita relazionale, sociale e familiare, favorendo il gioco degli aggressori.
21. La sesta fase: esclusione dal mondo del lavoro

Questa fase rappresenta l’epilogo della storia di mobbing, con l’uscita della vittima dal mondo del lavoro, o tramite dimissioni o licenziamento volontari o ricorso al prepensionamento oppure anche attraverso esiti più traumatici come lo sviluppo di manie ossessive, suicidio, omicidio o la vendetta sul mobber. Il mobbizzato non ha più le forze per combattere, ha esaurito le sue energie psichiche e gli risulta molto difficile continuare a rimanere quotidianamente a contatto con gli aggressori, sviluppando delle vere e proprie manie che non si alleviano neppure al riparo tra le mura domestiche.

      22. Nelle ultime fasi è possibile riscontrare, a volte, tutta una serie di fenomeni che si ripercuotono drammaticamente sulla vittima: trasferimento ad altra sede, demansionamento ad attività di minore importanza, prepensionamento, messa in invalidità, periodo prolungato di malattia o ricovero in clinica, sviluppo di patologie ossessive, di depressione o di ansia generalizzata, tendenza al suicidio, sviluppo di comportamenti rivendicativi, anche aggressivi e criminali, fino all’uccisione dell’aggressore.

      23. Il mobbing è dunque un fenomeno altamente distruttivo per la salute del lavoratore in quanto può causare gravi conseguenze, ma danneggia anche l’economia organizzativa dell’azienda in cui si verifica a causa dei ritiri anticipati, dell’assenteismo e dei cali di produttività del personale coinvolto in processi di mobbing.

      24. Gli effetti prodotti si possono riscontrare si a livello psichico che a livello fisico.
A livello psichico possono manifestarsi sentimenti di disperazione, di umiliazione, di autosvalutazione, di auto disistima, con conseguente aumento della vulnerabilità soggettiva. Non è infrequente, quindi, che tutto ciò si esprima a livello più o meno inconsapevole sotto forma di attacchi di panico, ansia generalizzata, insonnia , depressione, difficoltà di concentrazione, perdita di memoria etc..

A livello fisico possono comparire disturbi da somatizzazione del disagio psichico come gastrite, ulcera, cefalea, dermatosi, mal di schiena, disturbi del ritmo sonno-veglia, ipertensione arteriosa, senso di palpitazione, alterazioni dell’equilibrio neurovegetativo, etc..

      25. Il danno biologico, alla vita di relazione od a quella sessuale, alla sfera culturale od affettiva, sociale o sportiva è sancito dal nostro Codice Civile (Art.2045, che stabilisce il risarcimento allorchè la condotta è dolosa o colposa).

      26. Il danno biologico si configura nel momento in cui vi è la persistenza del quadro sintomatologico per almeno 12-18 mesi dopo l’evento che lo ha determinato, e nel caso del Mobbing non è raro che i sintomi abbiano una simile durata.

Non è possibile, tuttavia, attribuire all’azione del Mobbing, se pur subito, la responsabilità di un danno biologico se nella vittima era già preesistente una patologia psichica conclamata, come una nevrosi ansiosa, un disturbo da somatizzazione, una depressione, una psicosi, un disturbo del sonno specificamente diagnosticato, un disturbo di personalità, un disturbo da dipendenza da sostanze stupefacenti.

D’altra parte, nel momento in cui si è stabilita la sussistenza di un effettivo Mobbing, la presenza di una preesistente psicopatologia nella vittima costituisce un elemento di aggravamento del quantum del danno.

      27. Quello che colpisce è l’evidenza della realizzazione di un clima particolare, fatto di tensione e di conflittualità più o meno velate all’interno di un gruppo che per operare in maniera efficace ed efficiente avrebbe invece necessità di un’armonia e di una tolleranza molto particolare. Per non parlare poi, come vedremo ed abbiamo già intuito da quanto detto, se non già percepito per esperienza, della qualità di vita, in tutti i suoi aspetti, che risente in modo pervasivo di queste tensioni relazionali e lavorative.

I motivi della determinazione di una siffatta atmosfera possono rientrare in una cornice di normalità o di psicopatologia.

Nel primo caso tutto prende l’avvio da una tendenza a riprodurre su altri personali frustrazioni già subite in passato o in altre situazioni, o reazioni a stress, oppure da carenze organizzative o funzionali od organiche dell’ambiente di lavoro, o da istanze di competizione mal canalizzata o mal gestita, dalla noia, da invidie, da gelosie, da disorganizzazioni mansionali o da carenze di regole chiare, univoche, equilibrate, egualitarie e condivise, con relativo, inevitabile, accumulo di tensione emotiva negativa.

      28. Il secondo caso, relativo all’ambito psicopatologico, offre lo spunto per alcune considerazioni di ordine professionale, clinico, diagnostico, giuridico e, non ultimo, di coscienziosità civile e morale.

A volte, infatti, mi capita, nella mia attività di psichiatra, di ritrovarmi di fronte a casi clinici che possono configurare una condizione di mobbing e nei quali mi sovvengono però diversi dubbi, soprattutto relativi al confine esistente tra una persecuzione reale ed una costruzione soggettiva operata da parte di un carattere velatamente paranoide.

A volte, infatti, ci si trova dinanzi a condotte mobbizzanti circolari che rappresentano l’evoluzione di una condizione che nasce, almeno inizialmente, da un substrato psicopatologico indipendente e che si autoalimenta attraverso una responsabilità, mi sento di asserire, condivisa da ambedue le parti in gioco (mobbizzato e mobber): uno stato di burn-out, una predisposizione caratteriale troppo incline ad una eccessiva sospettosità, ad una spiccata diffidenza, ad una litigiosità rivendicativa.

In questi casi può, invece, realizzarsi una condizione particolare, definita di “mobbing circolare” e caratterizzata da una mancanza di linearità tra causa ed effetto. Si tratterà di una causalità di tipo circolare, che si realizza attraverso una modalità di feed-back o di retro-azione nella quale è molto difficile stabilire, infine, dove inizi il comportamento vessatorio, chi effettivamente sia la vittima e chi l’aggressore. "Chi è il paranoico, l' "oppresso" o l' "oppressore", considerato che tali condotte si attuano per lo più su un substrato psicopatologico? (Sindrome del Burn – out - Disturbi di Personalità - Disturbi Paranoici -  Sindromi Deliranti - Sintomi Paranoici - Delirio di Riferimento - Follia a due - Reliquati di Traumi preesistenti).

In tutti questi casi, se il comportamento dell’interessato già si presenta con ideazione deliroide e quindi atteggiamenti, per esempio vessatori e/o aggressivi contro il proprio datore di lavoro e/o contro i suoi colleghi tali da motivare una sorta di cosiddetta "legittima difesa", in questo caso il punto di partenza patologico, il "primum movens" (con meccanismo a circolo vizioso) è rappresentato dalla patologia già preesistente nell’interessato della cui gravità ed incidenza, nonché dei risvolti comportamentali non era a conoscenza l’interlocutore.

      29. Le condotte che possono causare mobbing sono diversissime e variano da attacchi all’immagine personale, privata, professionale o sociale, della vittima, ad attacchi alla sua possibilità di relazionarsi con gli altri: rimproveri, ipercriticismo, minacce, allusioni malevole, sarcasmi, rifiuti o costrizioni, emarginazione, demansionamenti.

Il mobbing può nascere in qualsiasi contesto lavorativo e si manifesta attraverso una serie di azioni subdole e nascoste che spesso non sono riconoscibili da parte di un osservatore esterno.

Ne citiamo soltanto alcune: difformità di atteggiamenti da parte del management, calunnie e diffamazioni tra colleghi, accuse generiche non supportate da fatti e circostanze, dequalificazione nel lavoro, diniego immotivato delle ferie, rimproveri in pubblico, attribuzione di compiti ordinari con ordini scritti, richiesta frequente di controlli medico-fiscali nello stesso periodo di malattia, isolamento dall’organizzazione di lavoro, emarginazione sul posto di lavoro, diversa mansione rispetto a quella di assunzione.

Andando ne dettaglio, distinguiamo: 30.

1)    Attacchi alla comunicazione
- Il capo limita le possibilità di esprimersi della vittima
- Viene sempre interrotto quando parla
- I colleghi limitano le possibilità di esprimersi
- Si urla o si rimprovera violentemente con lui
- Si fanno critiche continue sul suo lavoro
- Si fanno critiche continue sulla sua vita privata
- E’ vittima di telefonate mute o di minaccia
- E’ vittima di minacce verbali
- E’ vittima di minacce scritte
- Gli si rifiuta il contatto con gesti o sguardi scostanti
- Gli si rifiuta il contatto con allusioni indirette 31.

2)    Attacchi alle relazioni sociali
- Non gli si parla più
- Non gli si rivolge più la parola
- Viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghi
- Si proibisce ai colleghi di parlare con lui
- Ci si comporta come se lui non esistesse 32.

3)    Attacchi all’immagine sociale
- Si spargono voci infondate su di lui
- Lo si ridicolizza
- Lo si sospetta di essere malato di mente
- Si cerca di convincerlo a sottoporsi a visita psichiatrica
- Si prende in giro un suo handicap fisico
- Si imita il suo modo di camminare o di parlare per prenderlo in giro
- Si attaccano le sue opinioni politiche o religiose
- Si prende in giro la sua vita privata
- Si prende in giro la sua nazionalità
- Lo si costringe a fare lavori umilianti
- Si giudica il suo lavoro in maniera sbagliata e offensiva
- Si mettono in dubbio le sue decisioni
- Gli si dicono parolacce o altre espressioni umilianti
- Gli si fanno offerte sessuali, verbali e non 33.

4)    Attacchi alla qualità della situazione professionale e privata
- Non gli si danno più compiti da svolgere
- Gli si toglie ogni tipo di attività lavorativa, in modo che non possa più nemmeno inventarsi il lavoro
- Gli si danno lavori senza senso
- Gli si danno lavori molto al di sotto della sua qualificazione professionale
- Gli si danno sempre nuovi compiti lavorativi
- Gli si danno lavori umilianti
- Gli si danno compiti molto al di sopra delle sue capacità per screditarlo 34.

5)    Attacchi alla salute
- Lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute
- Lo si minaccia di violenza fisica
- Gli si fa violenza leggera (esempio uno schiaffo) per dargli una lezione
- Gli si fa violenza fisica più pesante
- Gli si causano danni per porlo in svantaggio
- Gli si creano danni fisici nella sua casa o sul suo posto di lavoro
- Gli si mettono le mani addosso a scopo sessuale.

      35. 36. Occorre, però, rivolgere uno sguardo molto attento a questo fenomeno, poiché a volte è possibile ritrovarsi davanti una situazione di simulazione.

La simulazione e/o la amplificazione simulatoria in tema di Mobbing viene a realizzarsi allorquando si osserva:

- Ostentazione monosintomatica e riproduzione di sintomi singoli, isolati,

spesso solamente riferiti e non correlabili clinicamente al "continuum" esistenziale del

soggetto e neppure rapportabili ad un qualcosa di nuovo o di più posto in relazione

di causalità lineare o circolare con gli eventi e le situazioni mobbizzanti;

- Esibizione enfatica e teatrale degli eventi vessatori, con doviziosa elencazione reiterata della sintomatologia (anzichè la dignitosa e orgogliosa occultazione e/o minimizzazione del vero mobbizzato)

- Mancanza del tipico distacco comunicazionale del vero mobbizzato con paradosso

metacomunicazionale al colloquio (= sforzo mentale ma riferita prostrazione)

- Riferita sintomatologia sfacciatamente puerile es.: "pavor nocturnus" non assimilabile alla presunta patologia da mobbing.

- Tendenza a richiamare costantemente l’attenzione e la partecipazione emozionale dell’osservatore con citazione frequente di eventi vessatori

- Descrizione obiettiva di sintomatologie, spesso evidenziabili solamente mediante un accurata e prolungata osservazione esterna.

      37. Per superare una condizione di disagio derivante dalle condotte mobbizzanti, gli espedienti devono possedere le caratteristiche del mobbing stesso.

Occorre innanzitutto evitare di trasporre il disagio in ambiti esistenziali più ampi (la famiglia, la vita di relazione generale…) e mantenere lo scenario strettamente legato all’ambiente lavorativo, basandosi su una solida strategia di contrasto.

A volte è utile ricorrere a figure professionali competenti, che potranno aiutare a superare il disagio, in primo luogo attraverso interventi psicoterapeutici e psicoeducazionali tendenti al rafforzamento delle risorse interne della vittima.

Tutto questo non deve però essere l’unica attività di difesa, sicuramente è quella che compete a me in quanto medico e psichiatra, ma essa deve affiancarsi al ricorso alla denuncia della situazione mobbizzante, dopo aver minuziosamente raccolto in diario, per un tempo sufficientemente lungo, sia le azioni mobbizzanti subite, sia i sintomi ed il loro aggravamento.

E’ fondamentale, in questa ultima strategia, impiegare anche il massimo della pubblicità nell’ambiente lavorativo, onde dare risonanza e maggiore rilievo al proprio comportamento difensivo attivo  e non passivo. 38.