Intelligenza artificiale versus creatività

12.09.2013 08:53

Sarebbe pura retorica affermare che l’Intelligenza artificiale non giungerà mai a creare una macchina che sostituisca l’essere umano in tutta la sua dimensione. Sarebbe pura retorica dire che i robot potranno sicuramente giocare una partita a scacchi, risolvere un cruciverba o un rompicapo complicatissimo, oppure programmare una funzionale strategia difensiva nel foot-ball, ma che non potranno mai estasiarsi all’ascolto di una poesia di Ungaretti o di una sinfonia di Beethoven, o provare l’ebbrezza data dal profumo di una gardenia. Il punto non è questo. Noi ancora non conosciamo il funzionamento del cervello umano. E quello che di esso conosciamo è in buona parte condizionato dai limiti stessi della scienza attuale, anche se negli ultimi trent’anni siamo riusciti ad approfondire gli studi con strumenti e metodi innovativi e molto sofisticati. Gli studi funzionali del Sistema nervoso centrale hanno infatti consentito di individuare le diverse zone cerebrali che si attivano durante l’esecuzione di un compito (che può essere parlare, pensare, odorare, ricordare, muovere un arto, e così via), rappresentando in tal modo una mappa neurologica che ci chiarisce entro certi limiti come funziona il nostro cervello. Il segreto di queste tecniche di neuroimaging consiste nel fatto che le strumentazioni sono in grado di valutare il differente afflusso di sangue in una determinata area cerebrale, a sua volta determinato da un aumento del consumo di glucosio, dovuto all’attività: la zona del cervello che si attiva durante l’esecuzione di un compito, cioè, consuma più zuccheri, per cui aumenta il suo fabbisogno che sarà soddisfatto mediante un incremento dell’apporto di sangue. Fin qui le conoscenze attuali. Tuttavia esse non sono sufficienti a spiegare come avvengono le più alte funzioni psichiche: il pensiero, le emozioni, la coscienza, per dirne alcune tra le più "nobili". Certo, sappiamo quali sono le aree del linguaggio, parlato e ascoltato, quali quelle della visione, quelle del movimento e delle sensazioni, le zone deputate al processo decisionale o quelle implicate nel panico e nella paura, ma esse da sole non rappresentano il meccanismo completo di una determinata funzione. Accanto ad esse vi sono delle aree cosiddette accessorie, secondarie, senza il buon funzionamento delle quali tutto il processo si bloccherebbe, o perlomeno risulterebbe sostanzialmente alterato. Il cervello funziona nella sua globalità, attraverso meccanismi di associazione, correlazione, integrazione, astrazione, simbolizzazione e sintesi i cui centri sono sparsi nella vastissima rete neuronale che costituisce la nostra sostanza cerebrale. Qui i neuroni sono organizzati in maniera estremamente variabile, a seconda delle funzioni e delle specializzazioni a cui devono adempiere. Riusciremo a comprendere fino in fondo questo funzionamento? Probabilmente sì, ma occorre, a mio avviso, un salto di qualità nel modo di pensare, oltre che tempo e impegno, soprattutto perché lo studio della mente è qualcosa di particolare, dal momento che il soggetto e l’oggetto dello studio in questo caso si identificano. L’Intelligenza è una funzione a se stante, ma riguarda l’attitudine a utilizzare in maniera appropriata tutti gli elementi del pensiero, improvvisando, formulando e sviluppando risposte efficaci e plastiche, dinamiche, e forse questo rende estremamente difficile il compito degli scienziati che si dedicano all’intelligenza artificiale. Finora tutte le forme assunte dalla cosiddetta Intelligenza artificiale agiscono secondo un principio predefinito, per quanto ampio possa essere il campo di applicazione e la programmazione con cui si predispongono le macchine: esse agiscono a tentativi, utilizzando e adattando conoscenze definite: esse non possiedono, ancora, la capacità creativa, che è la qualità distintiva dell’Intelligenza umana. Altro discorso vale per le applicazioni pratiche della bioingegneria, che offre possibilità diagnostiche nuove nel campo della medicina, ma anche opportunità innovative di intervento curativo e strategie diverse e molto utili nel campo della riabilitazione. Altro discorso ancora riveste l’applicazione scientifica di modelli matematici "intelligenti" nello studio di aspetti estetici e artistici che apparentemente non sembrano avere nessuna attinenza con la schematicità propria della scienza. L’arte non è scienza, certo, ma è possibile tentare di comprendere cosa qualifica un’opera d’arte come bella o complessa, e cercare di teorizzare ipotesi oggettive per capire i canoni che attraggono l’interesse o che sono in grado di evocare emozioni e sensazioni particolari quando si osserva un lavoro artistico (al di là dell’antica e sempre attuale "proporzione aurea").

Emozione, sentimenti, attenzione attiva (interesse) verso un particolare della realtà esterna, passaggio dalla pura percezione sensoriale al riconoscimento connotativo di una sensazione, formazione di idee complesse, intuizione e creatività: sono questi gli elementi che distinguono l’Uomo dagli altri Animali e dalle Macchine.