La Depressione di genere
L’ambito psicologico, e psichiatrico, ha da sempre rappresentato un terreno molto fertile per definire le differenze di genere che esistono tra uomini e donne.
Se da un lato questa tendenza costituisce un valido momento di studio, di osservazione e di approfondimento, poiché è evidente che gli uomini e le donne siano due entità diverse sia in relazione alla loro strutturazione biologica, che alla loro conformazione anatomica, che al loro vissuto storico-sociale, d’altro canto essa ha spesso contribuito ad accentuare molti pregiudizi, primo tra tutti la convinzione che vi sia una diretta connessione etiopatogenetica tra ciclo ormonale , tratti particolari della personalità femminile e depressione.
Chiarisco subito questa affermazione accennando al fatto che molti dati della letteratura scientifica suggeriscono, invece, una maggiore correlazione della depressione nel sesso femminile con fattori psicosociali ed educazionali, nonché con caratteristiche strettamente connesse con il ruolo della donna, in seno alla famiglia, nell’ambito lavorativo e nella società in generale.
Questo non significa necessariamente negare che vi siano delle psicopatologie legate causalmente a specifici momenti, o periodi, del ciclo vitale della donna.
Basti pensare, per esempio, alla Sindrome premestruale o alla Depressione post-partum, se non al “moderno” Baby-blues, quello stato transitorio di disforia, irritabilità, ansia e tristezza che può accompagnare un lieto evento, come la nascita di un figlio.
Vuol dire soltanto sgomberare il campo da preconcetti superficiali che tendono a collegare una determinata struttura di genere con una determinata patologia, trascurando l’aspetto più generale della “persona” come entità inserita in un ambiente sistemico e portatrice di una storia individuale che informa di sé tutte le manifestazioni di disagio che possono verificarsi nel corso di una vita.
Sappiamo un po’ tutti come il periodo dell’adolescenza, con l’inizio dell’attività mestruale, sia considerato un fattore di rischio per un disagio psicologico maggiore nelle ragazze rispetto ai ragazzi, e come sia estremamente a rischio la donna in gravidanza o all’approssimarsi della menopausa.
Ma siamo così saldamente sicuri che questa maggiore vulnerabilità sia connessa direttamente all’assetto ormonale, oppure possiamo prendere in considerazione il fatto che in queste particolari fasi della vita la donna si ritrovi in una fase di “crisi”, e che come tutte le altre crisi, anche queste necessitano di un riadattamento esistenziale?
L’OMS parla da tempo della Depressione come di un’emergenza mondiale, considerando la sua ampia diffusione, che vede la sua prevalenza assestarsi intorno al 3 – 7% della popolazione adulta, la continua crescita della sua incidenza (si stima per inciso che nel 2020 essa possa rappresentare la seconda causa di disabilità nel mondo), e la sua spiccata tendenza alla cronicità (si riscontra una propensione alle ricadute stimata intorno al 50 % dei casi), non solo, ma la individua, statisticamente, come una forma psicopatologica largamente “al femminile”.
Ed in effetti, oggi si nota una prevalenza di questa malattia nelle donne rispetto agli uomini in un rapporto che varia, a seconda dei rilievi statistici, da 2 - 3 : 1.
Sono solo numeri, certo, e potrebbero non dare l’idea di cosa possano significare, ma dietro quel rapporto sta la realtà che per ogni “maschio” depresso vi sia il doppio o il triplo di “femmine” ammalate.
E non esiste neppure una fascia di età che sembra preservata dall’incidenza della Depressione.
Infatti, la Depressione è in crescita nelle donne a partire dalla prima adolescenza, ed anche qui vi è una maggiore prevalenza dei disturbi dell’umore e dell’ansia nelle ragazze rispetto ai ragazzi di pari età.
La differenza di genere, in questo periodo della vita, si fa ancora più accentuata se prendiamo in considerazione i Disturbi Alimentari (Anoressia e Bulimia), di cui le donne soffrono molto di più rispetto agli uomini.
Nelle donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni, poi, la Depressione costituisce la prima causa di disabilità, anche qui con una netta prevalenza femminile nei confronti del sesso maschile.
Se ci domandiamo, adesso, se esistono delle tipologie di donne più a rischio per ammalare di Depressione, la risposta è: no, soprattutto se per tipologia intendiamo caratteristiche di personalità ben definite, oppure stati sociali o economici specifici.
La Depressione femminile è, cioè, una malattia trasversale e di essa può ammalarsi sia la donna sposata che la nubile, quella con figli e quella senza figli, la casalinga e la donna occupata in un lavoro fuori casa, la donna che abita in città e quella che vive in ambienti rurali o in piccoli centri, l’istruita e la meno istruita.
Tuttavia è possibile concludere che, se per gli uomini il rischio di Depressione decorre in modo episodico, potendoli colpire maggiormente in due specifici periodi della vita, che corrispondono all’entrata e all’uscita dal mondo del lavoro, quindi adolescenza e pensionamento, per le donne, invece, non vi è questa episodicità, ma esse sono soggette a rischio di Depressione per tutto l’arco del loro periodo fertile.
E’ senza dubbio un periodo caratterizzato da un certo assetto ormonale, da una particolare conformazione neuroendocrina, ma è senz’altro, questo, anche un periodo nel quale la donna è sottoposta a una notevole pressione relativa al suo ruolo nella famiglia e nella società.
Il se, il come e il quando la Depressione si manifesti è un aspetto che dipende dai cosiddetti fattori di rischio, o meglio, dalla combinazione e dall’interazione che questi fattori assumono in determinate fasi dell’esistenza.
Esistono veri e propri fattori di rischio? E se sì, quali, quando e in che misura possono verificarsi?
Poiché la Depressione è una malattia caratterizzata da un “minus” dell’umore, appare ovvio come tutte quelle condizioni che possano, concretamente o simbolicamente, accentuare questa percezione difettuale agiscano come elemento favorente: l’isolamento sociale e la mancanza o la riduzione di relazioni di confidenza o di supporto, coniugale, familiare o sociale che sia, la tendenza alla dipendenza e ad uno stile di vita improntato all’esclusivo “farsi carico” o al “prendersi cura” senza esternare i propri bisogni, uno scarso riconoscimento di considerazione del proprio valore e del proprio ruolo, nell’ambiente domestico o lavorativo, sono condizioni che possono sommarsi ad altri fattori favorenti, come uno stress da sovraccarico, soprattutto per quelle donne impegnate nella cura della famiglia, ancor più se con figli in tenera età, e nello stesso tempo nel lavoro fuori dalla famiglia, eventi di perdita reali o simbolici, come i lutti, le separazioni, gli abbandoni, o la privazione di un ruolo sociale, ed infine quegli eventi stressanti della vita che riconosciamo come discriminazioni sul lavoro, violenze e maltrattamenti subiti.
Entriamo, qui, nel merito dell’argomento odierno, volendo focalizzare la nostra attenzione, al di là dei numerosi aspetti di rischio che abbiamo preso in considerazione, in particolare sulla correlazione tra violenza e disagio psicologico, e più specificamente sui possibili esiti depressivi che conseguono ad un vissuto di violenza.
La donna può essere vittima di una violenza per molti aspetti particolare, tanto particolare da costituire una nicchia psico-criminologica, possiamo dire, definita “violenza di genere” (A.C. Baldry, 2006).
La violenza di genere è caratterizzata dalla messa in atto di azioni fisiche, sessuali, psicologiche o di coercizione economica che si concretizzano nella cornice di una relazione interpersonale più o meno intima.
Questa relazione, a sua volta, può riguardare un rapporto sentimentale, una relazione intrafamiliare e domestica, una situazione lavorativa.
Diverse sono le forme attraverso le quali può essere realizzata questa violenza.
La violenza fisica, per esempio, viene attuata con l’intenzione di ledere, materialmente e direttamente, anche se a volte non è raro che questi stessi atti siano realizzati in maniera da spaventare la vittima definita attraverso uno spostamento della violenza, come avviene, per esempio, nel caso in cui l’aggressore distrugge degli oggetti oppure infierisce su animali domestici.
La violenza economica comprende, viceversa, strategie più o meno sottili e subdole che impediscono alla vittima di poter ottenere una certa indipendenza economica, con lo scopo non espresso di continuare a mantenere su di essa un efficace potere di controllo e di condizionamento.
La violenza sessuale può essere attuata non solo costringendo la vittima a sottostare a rapporti sessuali, ma anche attraverso molestie, costrizioni o induzioni che contrastino con la dignità e col patrimonio dei valori della persona specifica.
La violenza psicologica, invece, può venire attuata mediante minacce, intimidazioni, atteggiamenti denigratori e gli agenti sono più spesso i partner o gli ex partner.
Spesso queste azioni comprendono vere e proprie tattiche comportamentali che tendono a colpevolizzare la vittima, a svalutarla o ad umiliarla in pubblico o in privato, a volte a ricattarla, insultandola o minacciandola con l’intenzione di intimidirla e di condizionarla in ogni sua espressione esistenziale.
Questi atteggiamenti reiterati, continui e prolungati nel tempo, anche per diversi anni, possono giungere addirittura alla “distruzione morale” della vittima, alla quale non rimane altro che cadere nell’abuso alcolico o farmacologico o di sostanze stupefacenti oppure avviarsi verso una vera e propria forma di Depressione più o meno riconoscibile e grave che può indurre al suicidio.
Lo Stalking è l’espressione più eclatante della violenza psicologica, di una intromissione nella vita della vittima che ne limita e ne condiziona il flusso attraverso pedinamenti, insistenti messaggi telefonici, sms ossessivi, che possono giungere ad una vera e propria forma di persecuzione che induce paura e terrore.
I disturbi depressivi non devono essere confusi con il semplice abbassamento del tono dell’umore oppure con la tristezza o lo scoraggiamento che normalmente possono accompagnare particolari esperienze della vita.
In questi casi la condizione depressiva è più o meno passeggera, generalmente contestualizzata e rappresenta una risposta naturale ad una circostanza stressante, ad eventi di vita, cioè, che fanno parte integrante dell’esperienza comune e universale.
Per lo psichiatra la depressione si riferisce, invece, ad un sentimento o ad uno stato dell’umore continuo ed esagerato rispetto all’evento che lo determina, ove colto o palese, ad uno stato che influisce in maniera profonda, pessimistica e demoralizzante non solo sulla visione di sè e del mondo, ma anche delle esperienze attuali e future, provocando invariabilmente una significativa compromissione del funzionamento relazionale ed esistenziale dell’individuo.
Ma esistono differenze tra uomini e donne nelle manifestazioni depressive?
Dalle osservazioni emerge, nel sesso maschile rispetto al femminile, una maggiore tendenza al suicidio, mentre, di contro, nelle donne sono molto più frequenti i tentativi di suicidio, non riusciti.
Le donne depresse manifestano, inoltre, molto più accentuati i sintomi affettivi negativi, come la tristezza, l’abbattimento, la rassegnazione, la passività, i sentimenti di vergogna e di colpa e la labilità emotiva, mentre gli uomini reagiscono di più al sentimento di tristezza con atteggiamenti disforici e con comportamenti di rabbia e di facile irritabilità.
L’umore depresso, la tristezza, la malinconia rappresentano solo un aspetto, uno dei sintomi affettivi significativi che accompagnano la depressione clinica.
A questo si associano spesso altri sintomi di natura sia cognitiva, che somatica o comportamentale.
Potremmo leggere in qualsiasi tabella quali sono questi sintomi, ma a me non interessa fare un elenco asettico di termini che probabilmente non riescono a dare fino in fondo la percezione di cosa sia la Depressione per una persona che ne è affetta.
Io voglio, invece, tentare di “disegnare” questa persona, cercando di coglierne il vissuto interiore, quell’esperienza intima di disperazione che non riesce a rimanere confinata nella sola psiche e che si manifesta esteriormente nell’espressione sofferente del volto, nel corpo raccolto in se stesso e spesso trascurato, negli occhi spenti e al contempo invocanti aiuto, nella piega rassegnata della bocca, nel discorso sommesso e monocorde, nel rallentamento di ogni espressione comportamentale che rispecchia la palude nella quale si ritrova imprigionato tutto il flusso dei pensieri o la stanchezza cronica che deriva dalla perdita dell’energia vitale e dall’insoddisfazione di un sonno assente o spezzettato e, quindi, non ristoratore.
Ciò che colpisce in un depresso è l’assoluta mancanza della volontà, una totale perdita della motivazione ad agire nel presente ed a progettare per il futuro, futuro che per lui non esiste, come non esiste il passato, e quando ritorna alla mente il passato stesso è vissuto come tormentoso e ricettacolo di spossanti sensi di colpa.