Le maschere e le parole...

05.09.2013 19:14

Indubbiamente, alla base di questo libro vi è una curiosità tutta personale che mi deriva sia dalle letture svolte sull’argomento che dall’esperienza oramai di anni di attività a contatto con le più diverse forme di espressione comunicativa.

Non vi è dubbio infatti che per chi si occupa per professione della dimensione psicologica dell’Uomo, l’osservazione delle varie forme espressive che assumono i pensieri e le emozioni sia uno degli elementi più utili ed importanti.

Le emozioni possiedono una espressività particolare e ben definita e riuscire a coglierle attraverso un’analisi esteriore, già a prima vista, rappresenta un passo fondamentale per diagnosticare un qualche disagio psicologico, oppure per entrare in contatto con il paziente.

Basta pensare, per esempio, al lavoro dei domatori, che riescono a volte ad anticipare le intenzioni aggressive delle tigri o dei leoni dalla variazione del loro sguardo, oltre che da altri segni di “nervosismo” del corpo, e come si dica che gli orsi siano estremamente pericolosi, invece, poiché non manifestano alcuna variazione pupillare in rapporto alle loro intenzioni, se non vogliamo parlare di emozioni nel mondo animale.

L’analisi di cui parlo si rivolge, quindi, per la maggior parte non tanto alle parole che vengono dette, ma soprattutto a ciò che viene manifestato attraverso il linguaggio non verbale.

Il modo con cui comunichiamo infatti è molto complesso e non è fatto se non in minima parte (solo il 7%), dalle parole che pronunciamo, ma principalmente dalla gestualità, dalle espressioni del viso e dalle inflessioni che diamo al tono della nostra voce.

Questi ultimi aspetti, che costituiscono un linguaggio silenzioso, ricoprono più del 90% del nostro modo di esprimerci.

L’esistenza di questi due linguaggi complica non poco la dimensione comunicativa interpersonale.

In base all’osservazione attenta di questi linguaggi, che vengono utilizzati simultaneamente in qualsiasi forma di dialogo, è possibile cogliere diverse informazioni sul carattere dei dialoganti, sui loro stati d’animo, sulla disposizione verso l’interlocutore, sull’interesse ed il coinvolgimento nel dialogo, sulla loro sincerità e finanche sulla qualità dei rapporti che intercorrono tra i due dialoganti.

Questo è possibile individuando soprattutto i cosiddetti segni non verbali, ma anche la concordanza o la discordanza tra quanto viene affermato con le parole e quanto invece si esprime con il corpo.

Tutto ciò è possibile se consideriamo che i due tipi di linguaggio obbediscono a leggi diverse e sono sottoposti a controlli diversi.

In altre parole, e più precisamente, il linguaggio verbale è quasi completamente controllato dalla nostra volontà, mentre il linguaggio del corpo è invece quasi totalmente libero da qualsiasi influenza della coscienza e della volontà.

Esso è spontaneo, involontario, genuino, non sottoposto ad alcuna censura e generalmente sfugge ad ogni nostra consapevolezza.

Così come si esprime, cioè inconsciamente, altrettanto inconsapevole è la sua decodificazione.

Questo comporta un altro aspetto importante che condiziona un qualsiasi dialogo e che consiste nel fatto che generalmente ognuno di noi, in qualsiasi relazione interpersonale, coglie sempre i messaggi subliminali che l’interlocutore, suo malgrado, gli rimanda attraverso il linguaggio non verbale.

Questi si chiamano in termini tecnici feed-back ed esprimono il grado di interesse e di coinvolgimento del ricevente all’interno della comunicazione.

E non è poca cosa.

Infatti tutti abbiamo, qualche volta, provato un certo disagio o un certo imbarazzo, una qualche sensazione particolare mentre parlavamo con qualcuno, una sensazione indefinibile, ma che ci metteva in allarme circa la disposizione dell’ambiente.

Da cosa deriva?

Da una discordanza, da tutta una serie di messaggi non verbali che sconfessano quanto si afferma con le parole.

Una manifestazione di cordialità, magari esageratamente espansiva, accompagnata da un sorriso falso, tirato, da una stretta di mano sfuggente, da uno sguardo rivolto altrove, dal mantenimento di una eccessiva distanza interpersonale.

Molti sono i segnali che indicano disinteresse o ansia.

E sono segni che esprimono la nostra vera ed autentica disposizione d’animo profonda proprio perché, come ho detto prima, il linguaggio del corpo è spontaneo ed involontario.

Basti pensare, per esempio, a quando assistiamo ad una conversazione tra due persone, od anche se vi partecipiamo dimostrando a parole un certo interesse, ma contemporaneamente guardiamo spesso l’orologio, o lo manipoliamo giocherellandoci (non vediamo l’ora che finisca…), guardiamo con insistenza verso la porta (cerchiamo una via d’uscita…), ci muoviamo in continuazione, rimaniamo seduti solo sul bordo della sedia, indirizziamo le gambe od i piedi verso la porta (vogliamo scappare…).

Chi invece è realmente interessato in genere si avvicina col tronco all’interlocutore, inclina il busto verso di lui, si mordicchia o si passa la lingua sul labbro, o le dita della mano tra i capelli, giocherella con un accendino, dimostra una tensione muscolare abbastanza evidente ( e tutti possiamo, a questo riguardo, riandare con la mente ad ognuno di noi mentre guarda una partita di calcio alla televisione…).

 

Come vediamo, il linguaggio del corpo è molto complesso, ma esprime segni che possiedono in genere un significato universale, comunemente condiviso, tranne che per alcune espressioni influenzate ed elaborate dalla cultura particolare di una qualche società.

Ma il sorriso, il pianto, la rabbia, l’aggressività, l’orrore, il disgusto hanno segni faciali ben definiti in ogni cultura ed in ogni parte del mondo.

Così come sono universalmente riconosciuti i segni che indicano un comportamento istrionico, un atteggiamento manierato, una falsità di circostanza.