Ruolo delle funzioni esecutive nel processo riabilitativo di pazienti schizofrenici

05.09.2013 19:10

 

Le funzioni cognitive realizzano efficacemente il rapporto uomo-mondo, consentendo alla persona, in un processo dinamico ed interattivo con l’ambiente, di acquisire la conoscenza di se stessa e della realtà circostante, ricevendo ed organizzando le informazioni al fine di controllare le situazioni e di programmare e realizzare comportamenti adattativi e finalizzati.

Tale atto, insieme conoscitivo e creativo, avviene essenzialmente attraverso attività di pensiero razionale per la cui produzione occorrono inalterate abilità di memoria, attenzione, apprendimento, percezione e di linguaggio, le quali tuttavia non consentirebbero una piena e totale realizzazione operativa senza l’intervento di altre potenzialità altrettanto necessarie e legate alla sfera emotiva e motivazionale.

Le disfunzioni cognitive globalmente evidenziate nella Schizofrenia, di cui costituiscono alcuni dei sintomi di base, primari e permanenti, sono un importante fattore di disabilità che riduce il livello di funzionamento globale della persona, limitandone il comportamento sociale e restringendo le possibilità di un ottimale processo di riabilitazione.

Spesso nei pazienti si nota, rispetto ai controlli, una riduzione significativa del funzionamento intellettivo globale (Q.I.) (Hunt), ma la caratteristica principale consiste nella compromissione dei processi esecutivi e di tutte le funzioni ad essi correlate (memoria, attenzione selettiva, motilità, comportamento, percezione, capacità di astrazione e di concettualizzazione , linguaggio espressivo) (Goldberg, 1995).

In ultima analisi, i processi esecutivi sottendono delle funzioni che regolano ed adattano il comportamento attraverso la pianificazione di set cognitivi integrati ed adeguati alle mutavoli situazioni da controllare e da affrontare, coordinando quindi una serie di abilità di livello di base che consentono l’esecuzione di compiti più complessi e spesso nuovi.

Significativi deficit nella flessibilità cognitiva (64%) e nella pianificazione operativa (76%) sono stati riportati da vari studi (Morice, 1996).

Le alterazioni della sfera cognitiva venivano in passato correlate a scarsa motivazione, gravità della sintomatologia schizofrenica, effetti dell’istituzionalizzazione e di terapie prolungate con neurolettici.

Studi condotti negli ultimi venti anni, con tecniche di neuroimaging (TAC, RM, PET), hanno evidenziato l’esistenza di anomalie strutturali nel SNC di pazienti schizofrenici e molte di queste precedono l’esordio della malattia, per cui non possono venire messe in connessione con processi di natura neurodegenerativa, potendo invece essere considerate substrati organici e biologici determinanti la psicopatologia.

Attualmente viene, in effetti, prospettata con sempre maggiore autorevolezza un’ipotesi etiopatogenetica consistente  in una marcata predisposizione genetica alla malattia su cui agirebbero verosimilmente noxae patogene ambientali nel periodo fetale e/o perinatale (Jones, 1994) che produrrebbero un disturbo dello sviluppo cerebrale.

Ciò viene supportato da alcune evidenze cliniche ed anamnestiche in pazienti schizofrenici, quali esposizione delle gestanti ad infezioni virali, frequenza di complicanze ostetriche (Kendell, 1996), ridotto funzionamento neuromotorio e neurocognitivo premorboso, presnza di anomalie fisiche minori (Murphy, 1996) e di modificazioni neuromorfologiche cerebrali.

Tra queste ultime quelle più comunemente evidenziate riguardano una riduzione del volume del lobo frontale, dell’ippocampo, dell’amigdala e del giro paraippocampale (Andreasen, 1986), un aumento volumetrico del putamen, del pallido e del caudato (De Lisi, 1991), una dilatazione degli spazi ventricolari (Weinberger, 1986; Johnstone, 1976) ed alterazioni delle connessioni interemisferiche.

Anomalie delle interconnessioni tra il sistema limbico ed i nuclei della base (strutture importanti nell’integrazione e nell’elaborazione delle informazioni) vengono ipotizzate da Gray (1991) come un momento fondamentale per i disturbi cognitivi, soprattutto per le alterazioni delle funzioni esecutive.

Su queste basi, e con indagini psicodiagnostiche, è stato prospettato un modello essenzialmente dimensionale (Lenzenweger, 1996; Harvey, 1996) tendente a correlare specifiche anomalie strutturali con specifiche alterazioni neuropsicologiche e cliniche ((Bilder, 1992).

Per quanto riguarda le abilità cognitive, in linea generale le anomalie del sistema fronto-limbico sarebbero alla base delle disfunzioni esecutive, quelle periventricolari delle turbe della memoria e quelle di specializzazione cerebrale dei disturbi formali del pensiero e del linguaggio (Balestrieri et al., 1996).

Il modello dimensionale si basa sull’assunto che possano esistere delle alterazioni fisiopatologiche a livello di determinate funzioni od organizzazioni cerebrali, sostenute talora da anomalie strutturali, che possano produrre, sinergicamente od isolatamente, manifestazioni psicopatologiche di base espresse clinicamente con una serie di segni e sintomi relativamente stabili e caratteristici (Pancheri, 1996).

Casi puri di alterazione strutturale specifica sono estremamente rari ed improbabili nella Schizofrenia, mentre in genere si ha una sovrapposizione di danni, con conseguente sviluppo di processi neurocognitivi patologici multiformi o globali, nella maggioranza dei casi associati ad una sintomatologia di tipo negativo (Andreasen e Olsen, 1982).

Diversi controlli evidenziano che i deficit della sfera cognitiva costituiscono un aspetto integrante e permanente della schizofrenia, con scarsa tendenza al miglioramento, permanendo in genere evidenti non solo nei momenti di riacutizzazione sintomatologica florida della malattia, ma anche nei periodi di remissione (Goldberg, 1995).

Il trattamento dei disturbi cognitivi costituisce già un primo momento riabilitativo, poichè consente di correggere quegli elementi psicopatologici di base che limitano il funzionamento percettivo, ideativo ed operativo del paziente; il loro miglioramento comporta effetti positivi anche sull’umore e sulla motivazione, con un notevole beneficio sul decorso stesso della malattia e sulla qualità della vita, fattori di indubbia utilità per un più efficace tentativo di riacquisizione di abilità necessarie per un buon funzionamento sociale e relazionale.

Da ciò l’importanza di terapie farmacologiche e psicologiche  e di training rieducativi che migliorino in primo luogo questi livelli difettuali basali, la cui sottovalutazione rischierebbe di complicare se non di compromettere tutto il processo riabilitativo.

Un importante modello di riabilitazione psichiatrica consiste nell’insegnamento di abilità relazionali e lavorative, attraverso le quali il paziente viene aiutato a riappropriarsi di capacità perdute, sicuramente deteriorate o disorganizzate, ed a sviluppare competenze nuove necessarie per controllare le situazioni quotidiane, affrontare e risolvere problematiche sociali, esercitare potenzialità di adattamento positivo.

Il raggiungimento di un buon funzionamento lavorativo, momento cruciale per una ottimale integrazione nella comunità, non può prescindere da un buon funzionamento delle capacità cognitive, dal momento che in buona parte esso dipende da una adeguata pianificazione procedurale ed operativa, fatta di resistenza attentiva e di memoria, di capacità di apprendimento, di organizzazione neuromotoria e comportamentale, di elaborazione di programmi volti alla risoluzione di problemi.

Correggere le disfunzioni cognitive significa infine anche limitare un fattore disturbante di notevole risonanza soggettiva che induce, insieme alla gravità dei sintomi produttivi, all’impatto spesso con una realtà sociale emarginante e penalizzante ed alla coartazione affettiva e motivazionale (Wing, 1988), ad una caratteristica “attitudine alla cronicità”, ossia a quel senso di disperazione e di abbandono che avvia verso moti di rassegnazione e di adattamento a standard esistenziali difettuali ed anomali.