Invecchiamento e personalità

05.09.2013 19:02

 

Parlare delle relazioni esistenti tra questi due termini trova una sua logica nel momento in cui pensiamo alla personalità come espressione sia della struttura e della funzionalità del cervello, che va incontro ad alterazioni durante il corso dell’invecchiamento, sia delle esperienze esistenziali vissute durante tutto il corso della vita.

Il concetto di “Vecchiaia”, presso i vari popoli e nelle diverse epoche, è profondamente influenzato dalla tradizione, dalla cultura, dall’organizzazione sociale e dalle credenze religiose.

In linea generale, si colgono essenzialmente due concezioni diverse, che la connotano l’una sotto l’aspetto peggiorativo di ineluttabile declino, tanto fisico ed estetico, quanto intellettivo ed affettivo, l’altra invece come periodo culmine di elevazione spirituale e di autorevole saggezza.

L’Invecchiamento è un processo naturale e fisiologico, caratterizzato da un graduale declino di tutte le funzioni dell’organismo.

Ed il declino delle funzioni organiche, anche se fuori dal SNC, è un processo che può avere ripercussioni negative a livello cerebrale, concorrendo ad aggravarne i danni, inferti, già naturalmente, dall’intrinseca condizione di senescenza.

Durante l’invecchiamento, a carico del tessuto cerebrale  si riscontrano diverse e multiformi alterazioni, che interessano variamente le strutture neuronali, con i segni di atrofia dovuti alla perdita ed alla diffusa degenerazione cellulare, e le strutture vascolari, con la compromissione dell’irrorazione sanguigna a causa di fenomeni di aterosclerosi e di ipoperfusione.

Appare alterata anche la normale permeabilità della barriera ematoencefalica, condizione che favorisce una maggiore vulnerabilità del cervello ad eventuali effetti di sostanze tossiche.

Ma di notevole rilevanza sono, però, le modificazioni che si verificano a livello del sistema dei neurotrasmettitori, dove si osserva una generalizzata diminuzione della loro quantità , la qualcosa, insieme alle alterazioni dei recettori, rende conto di un globale disfunzionamento della trasmissione degli impulsi e delle informazioni tra i vari centri nervosi.

Ma quali sono i meccanismi alla base di tutte queste modificazioni?

Essenzialmente tre appaiono, a tutt’oggi, le teorie che tendono a spiegare il processo della senescenza.

La prima, su base organica, postula l’azione di fattori immunitari e neuroendocrini o un deficit di fattori neurotrofici come base della già ricordata perdita cellulare; un’altra, su base fisiologica, pone invece l’accento sull’azione tossica dei radicali liberi e dei prodotti di scarto cellulare; mentre la terza, su base genomica, considera l’invecchiamento come esito di errori genetici multipli, o di mutazioni genetiche, oppure come risultato naturale di una morte cellulare programmata, per alterazioni del DNA e dell’RNA.

La durata media della vita si è allungata con il progredire della civiltà, grazie ai passi dell’assistenza medica ed alle migliorate condizioni sociali.

L’ereditarietà incide relativamente poco, per circa il 35%, sulla durata della vita, mentre, invece, per il restante 65% influiscono su di essa i fattori ambientali, come dimostrano gli studi effettuati su coppie di gemelli cresciuti in ambienti e condizioni diverse.

Da questo punto di vista, sebbene non in maniera assoluta, è possibile affermare che un fattore negativo per l’invecchiamento, cerebrale, è rappresentato dallo stress cronico, di ordine sia fisico che emotivo.

E si è riscontrato infatti, che elevati livelli di glucocorticoidi, gli ormoni dello stress, esercitano un effetto tossico sui neuroni (particolarmente dell’Ippocampo).

Invecchiamento cerebrale naturale e declino non significano però, invariabilmente e necessariamente, infermità o inabilità.

La maggior parte delle persone in età geriatrica conserva un buon livello di funzionamento fisico, intellettivo e relazionale.

E proprio in rapporto a queste evidenze, possiamo affermare il concetto secondo cui la salute, nell’anziano, non significa, in maniera assoluta, assenza di malattia, bensì, principalmente, assenza di disagio interiore e di disabilità, con conservazione, il più possibile, di adeguati ed aperti rapporti con l’ambiente e con gli altri:

il disagio interiore, quindi, dovuto alle esperienze emotive negative cui un anziano deve far fronte, esperienze di perdita, perdita non solo di persone, ma anche di ruoli e di responsabilità; la disabilità, dovuta al declino della salute e delle capacità fisiche; il rapporto con un contesto esistenziale diverso, modificato, dove spesso si esperisce un senso di emarginazione e di isolamento, quando non di inutilità.

Questi aspetti condizionano profondamente il vissuto della persona ed il suo modo di essere e di percepire se stessa e l’ambiente, di elaborare le esperienze quotidiane e di riuscire a reagire ad esse con comportamenti adeguati.

Tutto ciò viene sopportato e vissuto, a sua volta, in base alle caratteristiche della personalità.

Ma in che modo, ed in quale misura, queste caratteristiche possono influire su un buon invecchiamento?

E l’invecchiamento stesso, può modificare i tratti della personalità?

Sono domande alle quali hanno cercato di rispondere, talora con risultati contrastanti, molti studi condotti nel tempo.

Studi che hanno confrontato, a distanza di molti anni, fino a 30, i risultati di indagini psicodiagnostiche effettuate sugli stessi soggetti.

Il risvolto pratico di queste indagini psicologiche ha una importanza fondamentale per tutti coloro che si prendono cura delle persone anziane, e non solo di esse.

Conoscere come si modifica, se si modifica, o più semplicemente come si plasma e si adatta la personalità nell’anziano, ci consente di relazionarci meglio con lui, di percepirne le comunicazioni, i richiami e i bisogni, dal momento che tutte le relazioni interpersonali e le manifestazioni dei sintomi, le modalità di richiedere aiuto ed attenzione, e la stessa capacità e disposizione a seguire le cure, sono fattori profondamente influenzati, nella loro espressione, dalle peculiari caratteristiche della personalità.

 Quando si parla di personalità, comunemente, ci si riferisce ad una entità genericamente e superficialmente conosciuta, e spesso si tende ad impiegare come sinonimi, termini quali personalità stessa, carattere, temperamento.

Termini che, invece, sinonimi non sono.

Ove il Temperamento, che è innato e geneticamente determinato, è costituito dalle strutture morfologiche e biologiche del cervello, e rappresenta la disposizione affettiva di base di ogni individuo e la sua specifica modalità di reazione (ognuno reagisce in base al “suo temperamento”), ed il Carattere esprime invece la manifestazione esteriore e comportamentale della Personalità stessa, quest’ultima è, invece, qualcosa di più complesso, profondo ed elevato nello stesso tempo.

Essa, sulle fondamenta del temperamento e sotto l’influenza delle esperienze inconsce ed emotive, ambientali, sociali, culturali ed educative, si edifica come l’organizzazione e l’integrazione di tutti gli aspetti psichici, di tutte quelle proprietà che trovano espressione nella volontà, nell’emotività, nei sentimenti, nelle capacità cognitive ed intellettive della mente umana.

La Personalità, in definitiva, caratterizza l’essere umano come entità  irripetibile, nella sua particolarità di percepire, e di elaborare, e poi di reagire alla realtà ambientale, secondo quella che è la sua propria e soggettiva visione del mondo.

Ognuno di noi possiede dei tratti peculiari di personalità, le sue caratteristiche distintive, che sono per definizione stabili e duraturi.

Tuttavia, nel tempo, esistono condizioni, come particolari eventi vitali, importanti malattie fisiche, cambiamenti dei ruoli e delle responsabilità, che possono in una certa misura modificarli.

Nelle patologie neuropsichiatriche-geriatriche (Alzheimer, Parkinson, Malattie neurodegenerative), accanto ai relativi sintomi, si osservano anche profonde ed eclatanti modificazioni delle condotte di vita, del modo di rapportarsi alle esperienze quotidiane ed esistenziali, un calo della sfera motivazionale ed una diminuita tendenza a controllare gli impulsi.

Ed ancora, i vecchi trattati di Psichiatria parlavano di una profonda “accentuazione” dei tratti abituali del carattere nei pazienti con Sindrome psicorganica.

Può, allora, il normale processo di senescenza cerebrale, con tutte le alterazioni strutturali che comporta, ed insieme agli eventi stressanti esistenziali, incidere sulle funzioni mentali superiori e quindi, sia pur non arrivando a conclamare rilevanti effetti patologici, modificare i tratti, o alcuni tratti, della personalità?

Attualmente è possibile rispondere affermativamente a questa riflessione.

Se consideriamo, infatti, i cinque fattori che raggruppano i tratti di personalità come “Atteggiamento nevrotico”, “Estroversione”, “Apertura alle esperienze”, “Giovialità” e “Coscienziosità”, vediamo che alcuni di essi subiscono delle modificazioni nel corso del processo dell’invecchiamento, anche se essi si esprimono in maniera più accentuata principalmente in alcune condizioni patologiche.

L’Atteggiamento nevrotico individua un atteggiamento fondamentalmente ansioso ed introspettivo, una tendenza all’iperemotività ed  una eccessiva vulnerabilità che può sfociare in sentimenti di tipo depressivo.

I tratti tipici dell’Estroversione comprendono invece disposizioni verso l’apertura sociale e relazionale, il calore empatico e la ricerca di emozioni positive.

Le persone nelle quali predomina l’Apertura alle esperienze dimostrano in genere una notevole fantasia vitale, consapevolezza delle proprie emozioni, tendenza verso le novità, l’arte, la bellezza e le novità; sono curiosi e liberali.

Anche la Giovialità comprende tratti rivolti verso gli altri, l’altruismo, con fiducia, lealtà e disponibilità verso il prossimo.

La Coscienziosità esprime atteggiamenti di responsabilità, con spiccata tendenza al senso del dovere, all’ordine, all’autodisciplina, all’ambizione; si avvicina quasi ai tratti caratteriali dell’ossessivo-compulsivo.

Vediamo che nei pazienti in fase iniziale della Malattia di Alzheimer e del Morbo di Parkinson, per esempio, si verifica una diminuzione del comportamento progettuale e delle capacità esecutive, dell’estroversione, dell’apertura alle esperienze e della coscienziosità, mentre appare aumentato, invece, l’area del nevroticismo.

Non si tratta di sterili osservazioni, poiché sapere che può esservi un aumento del nevroticismo, significa riuscire a cogliere ed a comprendere un’eventuale tendenza alla lamentosità ed all’esagerazione dei sintomi da parte di un tale paziente; così come una riduzione del comportamento progettuale e delle funzioni cognitive, può essere indice di scarsa capacità di autogestione; ed una diminuzione, ancora, dell’apertura alle esperienze, e della coscienziosità, può indicare una scarsa disposizione ad accettare ed a seguire le cure, ed un elevato bisogno di assistenza.

Riconoscere queste modificazioni riveste un’importanza fondamentale, per coloro che si prendono cura delle persone anziane.

Sapere che esistono, e che possono verificarsi, può suggerire una maggiore attenzione verso quegli aspetti del disagio, come la perdita della capacità progettuale e la maggiore vulnerabilità allo stress, meno noti ma altrettanto invalidanti e drammatici della perdita della memoria e degli episodi confusionali.

In conclusione, saper cogliere le differenze individuali e le più o meno sfumate modificazioni caratteriali, soprattutto negli anziani, dove si esprimono con maggiore evidenza, costituisce un valido aiuto verso la comprensione del paziente e la messa in atto di strategie diagnostiche, terapeutiche e riabilitative adeguate, empatiche ed umane.