Psicopatologia ed immigrazione
Il fenomeno dell’emigrazione ha rappresentato per l’Italia una condizione molto rilevante specialmente agli inizi del XX sec., con i flussi verso “le Americhe” e poi, con l’esplosione demografica degli anni 50-60, con l’emigrazione interna che ha prodotto fenomeni di concentrazione urbana e settentrionale e spopolamento delle aree geografiche rurali
e meridionali.
Siamo, pertanto, abbastanza esperti circa le problematiche derivanti dal disadattamento connesso allo sradicamento dalla terra d’origine e dagli affetti familiari.
La rapida e forzata compenetrazione di sistemi di cultura alquanto diversi e di riprogettazione di stili di vita nuovi e di nuovi codici tradizionali, è divenuta una emergenza attuale nella nostra società e le difficoltà che erano dei nostri avi le possiamo rivedere rispecchiate nei fenomeni di immigrazione che negli ultimi anni hanno visto l’esponenziale incremento del numero di individui extracomunitari che hanno “scelto” il mondo occidentale come nuova frontiera di vita e di lavoro.
Oramai non possiamo più considerare questa immigrazione come un fenomeno di emergenza continua, però, ma dobbiamo inquadrarla come un fenomeno strutturale del nostro tempo.
Nel momento in cui il fenomeno assume proporzioni notevoli, le problematiche non si limitano soltanto ai soggetti immigrati, ma si estendono anche alle società ospitanti, che vedono modificate e trasformate alcune strutture consolidate. Da ciò la necessità di confronto e di integrazione tra stili tradizionali e concezioni di vita talvolta profondamente differenti.
La nostra società fa fatica ancora ad accettare questa nuova realtà e notiamo quotidianamente forme di intolleranza e di discriminazione dettate spesso da convenzioni culturali evocate da pregiudizi e da superficiali valutazioni etiche ed analisi sociologiche.
La complessità della società attuale e la velocità dei suoi mutamenti comporta continui disagi e disorientamenti, senso di precarietà ed insicurezza esistenziale che si ripercuotono sull’individuo sia nella sua dimensione soggettiva che sociale, e che devono in qualche modo, per legge naturale, essere contenute ed elaborate. Se così non fosse si andrebbero sempre pù aggravando il disagio personale e le tensioni sociali.
Psicologicamente, è sempre più semplice e meno doloroso individuare nell’ “altro da sé” il motivo di un disagio, ed in questi termini la società non fa altro che trasporre su un piano più grande un meccanismo di difesa individuale. Essa sposta all’esterno il motivo della tensione e lo individua nel nuovo e nel diverso.
L’immigrato riesce, purtroppo, a catalizzare abbastanza bene queste pulsioni e diviene l’obiettivo di queste difese.
Questo è il risultato, comunque, di una serie di fattori che dipendono in parte dalla struttura stessa del sistema sociale ed in parte dalle condizioni marginali in cui gli immigrati generalmente si trovano.
Qualunque individuo può incorrere nel rischio della devianza e della criminalità, ed in genere vi incorrono maggiormente le fasce più deboli e meno protette, ma è altresì vero che gli immigrati vi sono ancor più esposti a causa di condizioni aggravanti, quali la presenza di barriere culturali e linguistiche, lo sradicamento fisico dai luoghi di origine, la lontananza dalla rete affettiva e dal naturale supporto familiare ed amicale, dal rischio di essere protagonisti di comportamenti devianti, dalla disoccupazione, dalla clandestinità.
L’estrema solitudine in cui si ritrova l’immigrato è una condizione estremamente ostacolante quel processo i rigenerazione che può indurlo all’adattamento alla nuova realtà, riprogettando la propria esistenza.
Entrare in contatto con culture e tradizioni diverse comporta la necessità di adattarsi e non è un processo facile, ma diviene addirittura drammatico se al trauma sostanziale dello sradicamento si aggiungono l’instabilità economica e giuridica, la minaccia ed il disprezzo, la discriminazione, le umiliazioni e le frustrazioni.
La confusione che ne deriva, soprattutto nella sfera delle prospettive, genera inquietudini ed insicurezze.
Le aspettative nutrite nella speranza di un mondo nuovo ed accogliente determinano inizialmente sentimenti di amore incondizionato verso la società ospitante, dove tutto appare meravigliosamente ricco e sereno, e tutto sembra sopportabile in questa prospettiva.
Ma poi questa idea cambia, con il sopraggiungere delle delusioni e degli atteggiamenti di non accettazione.
L’impatto con i centri di prima accoglienza, con la disoccupazione e lo sfruttamento, con la precarietà sociale, con l’indeterminatezza giuridica, non produce altro, spesso, che vulnerabilità individuale, disorientamento esistenziale e disadattamento globale che avranno ripercussioni importanti sulla dimensione psicologica soggettiva.
L’immigrato si ritrova solo ed il viaggio intrapreso lo porterà anche a sondare la propria interiorità, dove a volte potrà ritrovare soltanto un vuoto lasciato dallo sradicamento e riempito da sentimenti di non appartenenza e di perdita dell’identità personale.
Sono conflitti che lo portano a percepire tutta la sua diversità, il rifiuto da parte degli altri e la svalutazione della sua dignità. A ciò si aggiunge spesso la disillusione a causa del divario tra le aspettative immaginarie, che prospettano mutamenti sociali e la rappresentazione dell’uguaglianza universale, e la concretezza della realtà vissuta, della materialità consumistica e discriminante.
La negazione dei bisogni di appartenenza, di integrazione, di riconoscimento, di identità si traduce in disagio e spesso in malattia e la marginalità ne accentua la gravità.
Il malessere psicologico può assumere forme fisiche, con manifestazioni psicosomatiche, isteriche od ipocondriache, oppure puramente psichiche, con ansia, depressione ed espressioni deliranti, oppure ancora comportamentali, con condotte devianti ed antisociali (alcoolismo, tossicodipendenza, criminalità).
Spesso l’isolamento tende a venire superato attraverso la formazione di gruppi e di comunità di immigrati, ma questo non produce altro effetto, a volte, che accentuare la demarcazione tra essi e la società ospitante, sottolineando ancora di più l’emarginazione e la diversità.